Beppe Palmieri è uno dei più autorevoli ed emozionali Sommelier italiani. Ci lega una profonda stima, cementata dalle affinità elettive, laddove Beppe sa essere "suggeritore del vino" come pochi, accompagnando con discrezione e una modularità che si basa sulla vostra empatia, un abbinamento che va ben oltre i piatti di Massimo Bottura; in realtà ne completa la poetica, la ricerca. Accorda insomma, al meglio, quanto può derivare da una Cucina e da una Cantina, dalle parti di Via Stella, abbracciando così un po' tutto quel gastromondo che è solo un grand plaisir: per il palato, il cuore, l' intelletto. Giuseppe ci racconta, qui, quelle storie che gli avventori fidelizzati dell' Osteria Francescana già forse conoscono. Un' occasione in più, quindi, per condividerle con una platea più vasta, virtuale solo nella forma, complice e curiosa nella sostanza.
Galeotto fu, agli inizi del decennio in corso, l’ incontro con un gruppo di quarantenni che hanno di fatto segnato il mio palato e il mio approccio al mondo del vino. Al secolo Fabio Luglio, Il “Battila”, “Graffo”, il buon Vincenzi (in pratica il nucleo storico di Spirito di Vino, n.d.r.).
Iniziarono a frequentare le tavole dell’ Osteria Francescana e mi introdussero al pianeta dei vini naturali che, tuttora, imperversa nei meandri delle mie papille e dei miei neuroni. L’ approccio non fu dei più semplici. Iniziarsi ad un sistema fatto di autentica espressione del territorio, a vini non filtrati e non chiarificati ma, soprattutto, fuori dagli schemi della scuola moderna di concezione del vino contemporaneo, fu un vero e proprio terremoto culturale, superate le prime difficoltà si spalanco’ un mondo fatto di agricoltori, artigiani e artisti. Non dimenticherò mai il viaggio che mi portò in Francia a verificare sul campo la cultura e la coltura biodinamica.
Arrivammo in tarda mattinata ad Arbois, capitale enogastronomica della regione agricola del Jura. Davanti alla sua casa di campagna ci aspettava la moglie di Stephane Tissot, donna semplice e diretta, dai fianchi larghi e dalle mani rudi, segnate dal lavoro nei campi..
Scorgevo, a due passi, due vacche ed una coppia di cavalli: la benzina ed il motore di quella che si rivelò una azienda che mi è rimasta nel cuore per la capacità di esprimere amore per la terra e per i suoi frutti. A breve, da una porta, fece capolino Stephane che così esordì: “La vie est belle !!!” (la vita è bella). Ci accompagnò per i due giorni che trascorremmo insieme tra un bicchiere di Savagnin e una passeggiata tra i vicoli del paese. Madame Tissot ci consegnò una marmitta incandescente che aveva cotto per tutta la notte di fianco al camino (ah, le basse temperature !!!) e Stephane ci informò che, a breve, saremmo partiti per una visita di cortesia al suo figliol prodigo: En Barberon.
La curiosità di scoprire le meraviglie della marmitta si faceva incalzante; sbirciare era impossibile perché, a mò di guancia dolorante per un terribile mal di denti, il grosso pentolone di ferro e il suo coperchio erano ben stretti nella morsa di una vecchia ma robusta tovaglia di una volta.
Di lì a breve raggiungemmo En Barberon, una collinetta avvolta dalla foschia e da un verde che più brillante non si può. Scesi dalla macchina e portati come per mano dal caro cugino d’ oltralpe, fummo di fronte a quello che poi capimmo era il vero motivo di orgoglio dell’ amico: ci trovavamo nel punto preciso in cui finiva la proprietà del vicino ed iniziava la sua. A sinistra il silenzio; filari di vite impersonali e statici; il terreno sterile ed ormai muto e sordo, vittima di anni di abusi e violenze. Dall’ altra parte c’era la vita: i fiori, l’ erba e i suoi profumi, le coccinelle e le farfalle. Io ero stordito da un silenzio e da un amore che chiunque poteva leggere negli occhi di quel ragazzo, lucidi ed ebbri di orgoglio.
Passeggiammo tra e con la vigna, viva e dinamica. Stephane ci raccontò di suo padre, grande imbottigliatore del paese, che per decenni fece impresa senza scrupoli (nei confronti dell’ amata terra, sia ben chiaro). Di quanto fu difficile convincerlo a lasciargli il timone ma, soprattutto, convincerlo della volontà di convertire tutto alla coltura biodinamica.
Si sa, l’ amore di un genitore non ha limiti.
Stephane ebbe la meglio ed è così che iniziò una nuova straordinaria stagione per la famiglia Tissot.
Ma torniamo alla marmitta. Recuperata la cima della collina, in quattro e quattrotto lanciammo a terra una stuoia da pic-nic ed armati di più di una bottiglia della casa madre, dotati di rustiche posate nonchè di piatti d’antan scoprimmo il meraviglioso pranzo. Patate, salsiccioni, raspe di Savagnin ed erbe aromatiche per una notte intera avevano seguito una brace che, in lento finire, aveva trasformato tutto in un suadente e denso stufato che mai più dimenticherò.
Al ritorno in cantina lo stato emozionale di tutti noi era alle stelle. Ci fu fatto il regalo più grande: raggiungemmo uno dei livelli più bassi del ricovero delle barrique e fummo di fronte ad una batteria di 5 botti poste ordinatamente in fila, una dopo l’altra, circondate dal nulla. Ero stato invitato a conoscere il vino personale di Stephane. Ero al cospetto di PMG, pour ma guele, espressione francofila che va interpretata “alla mia salute”.
PMG è un vino non vino. PMG è il succo di una terra; l’ umore di una cultura; il concentrato di un Uomo. All’ epoca non era commercializzato. Avemmo il merito e la responsabilità di convincere il caro vignaiolo a cambiare idea. Per farvi intuire la generosità della persona ma, soprattutto, confesso, la mia ostinazione, tornai in Via Stella con una preziosissima cassetta del grande PMG.
L’ ultima bottiglia di quel lotto, con fraterno affetto, l’hanno concelebrata al calice, beatificandola alla loro gola, il tenutario di questo Sito che mi ospita e i suoi degni e simpatici amici.
La Vie est belle !
Giuseppe Palmieri
Categoria: Special Guest Book
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