Questa è un' esperienza a cui siamo particolarmente affezionati, vuoi per il sapore d' antan della tavola, ma anche e forse, sopratutto, per la valenza umana dei personaggi in campo. Ci passiamo ancora davanti al Cavallino, tuttavia non vediamo più le auto dei blu collars che vi stazionano numerose davanti al desinare di mezzogiorno. Forse la Signora Bianca si è stancata di spignattare e da lei si può trovare solo qualche cicchetto, nulla di più.
La Gola non è solo profonda, ma affidabile nella sua semplicità di rabdomante di saperi e sapori schietti e genuini.
A Lui dobbiamo la scoperta del “Pastin”, un archeo.gusto sperso oramai in alcune valli bellunesi.
Aniway, ipse dixit: “Dottore, ci vada, ancora qualche anno, poi spariscono anche loro…”
Dissolvenza.
Chi ha da almeno una decade doppiato i fatidici “anta”, ricorderà senz’altro la piùbblicità di un vecchio carosello in black & white, laddove una Giorgia Moll o un Aroldo Tieri declamavano le virtù di un brandy che si chiamava “Cavallino Rosso”.
Ebbene, quel brandy forse non c’è più, ma un’ insegna equina, chissà se a lui ispirata, si trova ancora quaggiù, nel profondo nord est, in una Proseccolandia a dimensione di pianura.
Da fuori ci sono vari Fiorino, Ducato, qualche vetusto Leoncino OM; mezzi di lavoro di gente di fatica dai palati indifferenti ai cristalli di fiandra, ma che sanno cogliere la differenza tra la sostanza e il frou frou.
Ci capitiamo un sabato at noon; i lavoranti dalle vesti griffate di malta, olii e stucchi non ci sono, ma è presente quella piccola enclave di avventori che ci starebbe bene nei racconti di Nuto Revelli o nei tratti di Hugo Pratt.
Ci sediamo.
Le tavole (due) sono comuni.
Linda la cerata a quadrettoni bianchi e azzurri.
Il tovagliame si completa con salviette a fare astuccio su coltello e forchetta.
Il resto che segue è declinato in rigido latinorum autoctono, tradotto italico ad usum di web.
“Sa, qui serviamo quello che mangiamo noi… (pausa sapiente, cui segue risposta dallo sguardo affermativo e curioso) … le va bene una Minestrina? Gliela faccio bella densa”
E vai di Minestrina, oramai ce la fa soltanto la Mamma nelle serate estive ove la famiglia è in vacanza…
Arriva il Lui di questa originale Sit Com, versione Gastro.
“Da bere?”
“Mezzo Rosso, grazie”
Si presenta una Caraffa dal design alla Pininfarina, ove minimo è contenuto un tre.quarti … E’ la prima volta in cui ci siamo sentiti sottovalutati.
Probabilmente, qui, il ¾ è l’entry level minimo per potersi assiedere a far comitiva.
Il Pane, dal cesto, non sarà fatto a mano, non sarà di farina di castagne o farcito al caviale, ma non è stato neanche comprato dal primo fornaio a caso.
Arriva la Minestrina, ti abbinano la fromagère in inox, si farcisce il tutto senza pietà.
Ai tempi di Tambroni ci mettevamo il formaggino, generalmente “MIO”, qua non osiamo chiedere … lo spleen è comunque sufficiente di suo.
Sapori d’antan … no comment, silenzio in Sala.
Le pareti sono alte, ad altezza di pivot dei N.Y. Giants si intravedono foto in b/n della Città che fu, sotto la neve.
Non sono del Rigattiere segnalato da Vanity Fair, o delle vicine Show room Antiquarie delle varie Asolo o Badoere; sono foto fatte in casa, originali, 18 x 25 incorniciate a vetro nudo et crudo, e neanche perfettamente centrate con la squadra.
De secundis ti segnalano che hanno anche la bistecchina, ma tu sai già che lì si aspettano che tu gli confermi “Il” Baccalà alla Vicentina e “Le” Trippe alla Parmigiana. L’ Asino di Buridano è un’altra storia, noi andiamo di Trippao, di O’ Bacalao & nothing else.
Dopo poco arrivano i due piatti.
Il Servizio, curato dalla Signora Bianca, che fa navetta tra fornelli e “Sala”, è familiare anche nella sostanza, oltre che nella forma.
Ti guarda, ti scruta – a te che sei foresto per il background di palati stanziali – ma già ti fornisce il pass confidenziale, servendoti il piatto fermandolo a mezz’aria, sei tu che lo devi far ammarare sulla tovaglia, anzi, sulla linda cerata .
In fondo, anche in famiglia si fa così, in questa gestualità che vuol dire anche molto altro, se lo vuoi capire.
Nessuna nostalgia della Cloche argentata di Buccellati, qui ci sono altri sapori, altri sentori.
Il Baccalà è di fine fattura, per niente reso greve da cebollosità ruvide e distratte. Sulla Trippa si viaggia ruspante, ma da nobiltà del Gusto.
Abbellita di parmesàn a neve, si capisce che non può sapere di cazzamalità fassone, ma non ha neanche le puzze podaliche di mattanza chimica e volgare.
Cogli quasi sentori croccanti, nel distrarti a pensare come, anche qui, si sia passati velocemente dalla Civiltà Contadina alla Cultura Industriale, perdendo qua e là pezzi dell’una e dell’altra.
Guardi il piatto, oltre la tendina cogli la sagoma seduta della Signora Bianca che senti dividere, con colui che ci ha trequartato di Cabernet, il desinare quotidiano.
Non c’è Kenni G in sottofondo, e manco Ludovico Van… ma jam session di stoviglie e parlottii di sereno convivere understatement.
Manca il cucchiaio piatto da salsa … è un peccato lasciar lì gli umori trippanti… ritorni alla vecchia scarpetta con Monsignor della Casa che ammicca complice.
Di vegetale ci erano arrivati dei fagioli che condiamo a piacere e, sgranocchiandoli, sentiamo che non riemergono certo da una scatoletta, anche se, probabilmente, non hanno galloni di blasone Lamoniano.
Si staglia una sagoma che viaggia di terza età, decorosa e consapevole.
“Posso sedermi vicino a Lei? Sa, non mi piace mangiar da solo, lo sono già – solo – da 18 anni..”
Mentre si celebrano le solite formalità di buon vicinato, emergono esperienze comuni di viaggi lontani e “Canadien”; per noi sollazzo estivo di giovinastri in calore nei roaring 70th, per lui valigia di cartone by emigration su bastimento nel dopoguerra.
Quanta umanità, ricordi, esperienze diverse eppur condivise in pochi minuti … si finisce a parlare del vino della Toronto Valley… c’era anche allora, adesso è diventato famoso, soprattutto in versione IceWine.
Questo immediato Zio d’America adottato all’ istante si trova già il desco preparato in diretta, mentre a noi arriva, senza averlo chiesto peraltro, il formaggio d’ordinanza, posto con cortesia e rispetto dal Mr. ¾ Rosso.
Un Asiago giovane e uno mezzano, così da piluccare sornione con il nostro dirimpettaio che racconta e ricorda.
Rinunciamo al Dessert che ci dicono essere di rigida tradizione: Bagigi (chamate Arachidi, in Via della Spiga) dispensati generosamente, alla fine, tra un quadrettone e l’ altro della cerata.
Ci alziamo e, al bancone di formica della Main Hall, mentre attendiamo la cuenta, spiccano varie messaggerie della clientela più fidelizzata, tra le quali si erge una gigantografia in technicolor stinto, formato A4, del nostro angelo dei fornelli con dedica singolare “A Bianca, che con el so bacaeà, a te tira su più del Viagra”.
In questo caso, la traduzione è facile pure a orecchio.
Mr. Cabernet ci guarda, ci porge lo scontrino: 10 Euro, sgnappa esclusa.
Da non credere… usciamo satolli di Panza e di Corazon … quante storie, a tavola e nella vita.
AL CAVALLINO
Via Brenta, 95
Tel. 0423 – 494 407
Poisolo di Castelfranco Veneto (TV)
Aperto a pranzo dal lunedì al sabato.
Su richiesta la sera.
Chiude la domenica.
Categoria: Sararlo Graffiti
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