Indubbiamente la proposta è un po' vintage, stante anche il suo status di Locale Storico d' Italia. Tuttavia, la curiosità di visitarlo, almeno una volta, nacque dalla conversazione con Paolo Granzotto, già Vice Direttore de Il Giornale e cresciuto sulle ginocchia di Montanelli, quando venne invitato a presentare la sua biografia dell' uomo di Fucecchio. Il culto nei confronti dell' Indro nazionale (ovviamente quello sino al '94) ci portò a cercare di rivivere le atmosfere che, ogniqualvolta si recava nel Veneto, il principe dei giornalisti cercava qua, tra questi tavoli, questi paesaggi, forse anche questa cucina.
Vi sono dei locali in cui il tributo alla storia è importante.
Vi sono dei palati che rincorrono sempre l’ultima novità, pronti a prendere aerei o zattere per degustar di molecolare, cibernetico o bascheggiante.
Se amate veramente le automobili non vi negate certo, se potete, l’ultima bavarese al caffè, pardon con il satellitare o quell’altra “tutto dietro” come Nadia Cassini e il cambio zep tronic.
Ma se amate veramente le automobili vi intenerite ancora al veder la Fulvietta fanalone che ha reso grande Munari sul Tourini o anche quella certa Abarth che in un corpo seicentesco nascondeva cavalli che vi potevate poi godere allo scalar di doppietta sui tornanti alpestri.
Insomma, le auto, come l’arte, come la cucina, anche la musica, evolvono nel tempo, ma alcuni capitoli del recente passato, quando li incontrate, così immutati ed immutabili, ve li pappate ancora con gusto, pur se un po’ retrò.
Già arrivare a Borghetto di Valeggio sul Mincio, da solo, vale il viaggio. Tra le Colline Moreniche e le dolci acque del Mincio vi perdete nei ricordi di scuola, laddove scorrevan le guerre d’indipendenza tra Regia monarchia e Imperial usurpatore.
Poi la storia è corsa per altri dove, ma qui è rimasta sostanzialmente com’era, tanto da indurre Luchino Visconti a girare proprio qui alcune scene di “Senso” con Alida Valli e Massimo Girotti.
Fino a ieri Indro Montanelli, nelle sue trasvolate direzione ovest-est, l’aveva eletta a stazione di sosta privilegiata, per qualcuna delle sue parche scorpacciate, magari sotto il pergolato estivo proprio di lato alle dolci acque.
Ora Indro ve lo trovate ancora, ma nella sala del camino, nientepopodimeno che immortalato dal “pittore” Bellomi in un ipotetico sinedrio romano, un po’ Catone e un po’ Cicerone, a rievocare le virgiliane storie del fiume Mincio.
Orribili polittici ricoprono tutte le pareti di settecentesca sala… ne parleremo dopo.
Il personale di sala ha la consumata professionalità di chi, da tempo immemore, esercita lo stesso rito, un po’ come i Mori che battono le ore a Piazza San Marco; gli avventori parlano a voce un po’ alta, ma non tanto per la ressa da tavoli e piatti fumanti, ma perché, anche per loro, di tempo ne è passato da quando venivano qui a trescare con le morose di allora, ora generalmente quasi tutte nonne.
Ma, come dicevamo, a volte fare qualche rimpatriata anni ’70 o giù di lì torna sempre utile perché, come dice il saggio, bisogna sapere da dove si viene per capire dove si può o si vuole andare.
Allora, la Carta è ben articolata, stampata e rilegata in carta patinata; potete trovare testimonianze di una Cucina del territorio posta a confine, è proprio il caso di dirlo, tra veronese e mantovano.
C’è tutto, non manca nulla, nemmeno dal vicino Lago.
Noi ci siamo un po’ intrigati con delle Sarde in saor, laddove si precisava che erano, appunto, lacustri e marinate alla veneta.
Avevamo chiesto un assaggino, invero, reduci da fresca calandrata chiusa all’alba.
Ci sono arrivate due Sarde formato yacht, con classica fettunta (pure agliata) a far compagnia.
Abituati alle sardinette da goletta veneziana con “saori” tipicamente lagunari, abbiamo riscontrato come le “lacustri”
si accompagnino ad abbondante uso di cipolla e arance.
Si potrebbe definire piatto sapido, dai retrogusti marcati, ma, tuttavia, dotato di una certa piacevolezza ancien regime, da prima repubblica per intenderci.
A far paragone, ora che si viaggia tutti di servosterzo, guidando con un dito, qua il vostro Nardi a tre razze ve lo impugnate con sudar d’olio di gomito (e aglio) a percorrere i tornanti di un menù da sterrati non globalizzati.
Zuppa del Pellegrino.
Modernamente rivisitata in età degasperiana da un antica ricetta del ‘700 del prevosto locale don Felice Libera, laddove erano della partita brodo di carne, fegatini di pollo, tartufo nero, spugnole, pane – cum alio – und cannella.
Un piatto con “i connotati”, sapido pure questo, dell’ancien regime avevamo già detto pure, epperò se i carburatori del vostro palato non sono soltanto calibrati a sushi e sashimi o a sorbetto di giuggiole, potete trovare ancora modo di divertirvi alla moda di vostra nonna.
Siamo o no in magnifica ambientazione fluviale? Anguilla, quella che da qualche parte chiamano bisato, qui passata alla griglia sulla brace di legna.
Sul Mincio devono girare degli ormoni strani o il plancton è palestrato, perché a noi ci sono arrivati pezzi di bisato che pareva di avere Nessie, il Mostro di Lochness, lì amabilmente bracizzato per l’occasione.
Cotenna resa quasi primitiva da paziente ardere di bace autoctona; carne comunque intrigante di grassosa e avvolgente atmosfera fiumarola, il tutto ingentilito da real & original oleum from Garda Hills.
Boccone orgasmico: lasciate stare la cotenna del paleolitico, ritagliatevi quel dorso particolare che fa da contropanza a pelo d’acqua: sgranocchiatevelo lentamente, ’na goduria; chissà se il fucecchiese Indro avrà mai goduto tale chiccosa ricercatezza.
Volevamo fermarci qui, ma un pò l’allegra e vociante compagnia di ottuagenari a lato, un po’ la coppia dallo sterile dialogo che guardava il soffitto a fronte, abbiamo deciso di dare un ulteriore botta di vita (e di panza). Eravamo tentati dalle pesche e prugne sciroppate, orgoglio secolare della maison, messe in bella mostra su barattoloni stile Bormioli Impero. Alla fine abbiamo optato per il Dolce della casa. Presentato (sic) come “Una specie di tiramisù”, evidentemente con la © del governo Tambroni, in cui gigioneggiavano una crema allo zabaione fredda con pezzettoni di cioccolato e savoiardi. Qui l’aglio non c’era ma, pur “old fashion”, la cosa era gradevole. Poi, nelle tavolate dell’edonisno reganiano, sono arrivati i preconfezionati della Bindi (non la Rosi, quella resta acida di suo).
Qui, per fortuna, il tempo si è fermato prima.
Insomma. Un locale con il blasone di “Storico di’Italia” in cui, in effetti, l’orologio della storia ha ancora un pendolo d’antan.
Il personale è cortese, ma evidentemente pensa a come investire la sudata e prossima pensione. Tra gli ottuagenari avventori molti si chiedono se l’anno prossimo troveranno ancora il Lavarello anche se, in realtà, è quest’ultimo a porsi la domanda speculare.
Emerge una certa attenzione per alcune preparazioni biologiche; sulla carta l’offerta è plurima anche nel campo dei formaggi, degli olii e la cantina non dispera.
Indro, tacitiano, ci guarda dall’angolo del caminetto…
Non ci giureremmo, ma prima di questo penoso restyling alle pareti (polittici in ogni dove, in cui hanno inserito “nel contesto” Indro come fecero d’Alema & Co. nei suoi ultimi giorni) ricordavamo mattoni a vista con languide foto del luchiniano Senso; gli occhi lucidi di un’ Alida Valli al massimo del suo splendore e lo sguardo da uomo che “non deve chiedere mai” del Max Girotti.
Potevano mettere una foto di Indro con la sua Olivetti seduto su di un pila di giornali ad evitare violenza in sala storica da mano infelice di pittore maldestro.
D’ont worry, girate l’orbita a rimirar le dolci acque; uscite nella brezza autunnale a respirar di Mincio e sentitevi un Massimo Girotti qualsiasi, pur se un po’ zavorrati d’aglio e dintorni… nel ritornare al terzo millennio.
ANTICA LOCANDA MINCIO
Via Buonarroti, 12
Borghetto di Valeggio sul Mincio - VR
Tel. 045 - 795 0059
Cuenta media: 35-40€
Categoria: Sararlo Graffiti
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