Questa è stata una simpatica e originale pazzia che ha visto coinvolti una serie di personaggi abbastanza matricolati del gastromondo. Da un' idea di Roberto Gobbi, complice Franco Cazzamali, si è sviluppato un interessante confronto orgasmolettico tra una serie di "zoccole" (ovvero vacche quadrupedi) "fatte" in modi diversi, accompagnate da degni cavalieri (baccelli, detti anche fagioli, di enotria assortita). Non casualmente la tenzone si è svolta a porte chiuse, in quel di Rubiera, presso l' Osteria del Viandante, le mardi gras del Carnevale dell' anno domini 2004.
Roberto Gobbi lo aveva promesso, voleva fare una giornata diversa, offrendo, a porte chiuse, una “zoccole parade”, una panoramica vaccina con le più pregiate razze autoctone italiane: un tour che passava per Marchigiane, Romagnole, e poi “su e giù” tra Chianine e Piemontesi.
L’occasione offriva anche il destro, al nostro, per presentare un'altra delle sue grandi passioni, quella di Fagiolau, di ricercatore attento e preciso delle diverse specie di fagioli sparsi per la penisola, con alcune chicche conosciute, altre meno.
Giocare in ambo tra Zolfini & Cannellini, Chianine o Romagnole, era una sfida che, giusto per non dare troppa seriosità alla cosa, si è concentrata in una amabile giornata di lunedì grasso, la vigilia del sansilvestro carnevalesco.
La combriccola si ritrovò numerosa; qualcuno, bandana in resta ante litteram, già travestito per l’occasione.
E’ stato un inizio “del Cazza”, come di consueto da queste lande. I convenuti, quasi sulla porta del locale, si trovarono subito ad avere a che fare con una Battuta di Fassona in punta di coltello, laddove l’Orobico Franco da Romanengo aveva trattato da par suo uno scalzo di pancia che a qualcuno fece sbottare di botto…”qui si sente la carnalità cruda”…ma non dovevamo confrontare tra loro auguste zoccole di nobile stivale? Iniziare con uno scalzo piemontese sa un po’ di bustarella golosa per condizionare, ante concorso, giurati palati innocenti.
Non importa, a far pariglia il triangolo era virtuoso, laddove da un lato potevate sbocconcellare un Reggiano del ’99, come i ragazzi del Piave, ma stavolta cinquenne, in jam session con una sciampagna di quel grand artisan chel è Francois Hemart, in versione Brut et Rèserve.
Ci avevan attirato con curiosità di gustare zoccole, ma a noi veniva presentato un derby epatico tra vitella (Fassona, again?) e suino, laddove la prima vedeva di contorno ramandolo, pistacchi e uva moscato; cipolla caramellata a far da madrina al secondo.
Un bel derby, in cui l’arbitraggio passava al fischietto, pardon alle bollicine di una “Robanera” mai vista prima, un Lambrusco en primeur di quel matto di Andrea Cavicchioli.
Ma, e le Zoccolau? Qualcuno ha visto aggirarsi tra i piatti carni vaccine e baccelli leguminosi?
Vanno ancora i trailer…si passa per le appendici, pardon, le Estremità del maiale, laddove in negligente assemblaggio goloso palati già ebbri di carnevale si incontrano con Codina; Coda (si sprecano le battute già pesanti anche per la presenza di quella ...robanera lì, manco il lambrusco fosse un mandingo); Musetto; Piedino e Testina (gentile eufemismo atto a definire ganascia grufolalante) gentilmente farcita di albicocca.
Bene. Il servizio è premuroso e gentile; Roberto Gobbi e la sua brigade sono anfitrioni senza pari.
E’ stato bello anche così, pensavam che fosser zoccole e invece erano…maialette gentili, con codini e piedini intriganti. C’est la vie.
Già qualcuno, con il sorriso sulle ventitre e l’occhio aereodinamico, comincia a ringraziare e ad avviarsi verso il corridoio d’uscita pensando ad un bel carnevale, dove ogni scherzo vale, anche a tavola.
Macchè, erano solo peanuts, così, tanto per scaldare l’atmosfera.
Altro giro, altra coda, Coda vera, di Vacca al sugo: un trionfo vaccino, che la vaccinara la facciano pure al Testaccio, qui è una “codata” cazzastyle, a dimensione del ©. Altro che balle.
Si comincia a fare la hola nella tavolata dove, tra bandane, frizzi, lazzi e cotillions, qualcuno comincia a verificare appunti per futuri diari, qualcun altro fotografa a grandangolo, c’è chi telefona alla morosa e chi viene cercato da morose varie su cellulari diversi, insomma il solito teatrino dei bon vivant.
Urge una pausa.
Sorbetto del Viandante, come ai matrimoni a venti portate integrali.
Solo che qui non ci sono limoni o mele verdi, ma il brodo della…bestia. L’essenza, gli umori di carni che avevano già dato nei piatti precedenti, fossero essi di coda, di scalzo, di pancia. Un piccolo amarcord irrobustito…da quella Robanera là.
Emerge lo storico del gruppo: un tempo, in queste brode, l’aggiunta del Lambrusco non era tanto per straviziare oltre il bicchiere, ma perché spesso, iddu, the wine, nascondeva piccole imperfezioni di stallatico quadrupede. Invero, in codesta occasione, tale accortezza non era necessaria tuttavia, come declinava il saggio, fatti non foste per viver come bruti, ma… etci.etci. (salute!)
Bene, adeguatamente zavorrati da derby suino-vaccino, da code, codaglie, Lambruschetti e Champagnotte, ecco, in cinemascope, che si alzano i labari ed inizia la tenzone.
Tutto si svolge in maniera molto scientifica, anche se siamo alla presilvestro di Carnevale.
Il Dr. Gobbi ed il Prof, Cazzamali hanno sul tavolo autoptico, ops, sui vassoi argentati, materia del contendere. Quattro pregiati tagli delle migliori autoctone italiane: Madama Marchigiana, e poi quel bel pezzo di Romagnola, sinanco Sua Maestà Chianina e la Signora Piemontese.
Garzoni di sala fanno vedere a palati e olfatti protesi cotante cotenne, quasi fossimo da Christie’s o Sotheby’s.
Con fare scientifico si passa alla enunciazione delle caratteristiche base di tali madame, cosa che poi riporteremo a supporto della loro prova pratica, nature, sul piatto a giudizio di ganascia vorace.
Come al Gran Ballo dell’Imperatore, ogni damigella ha il suo cavalier baccellato a darle sostegno e conforto.
3,2,1, si parte.
Debutta la Marchigiana, abbinata a Fagioli di Sarconi.
Ottima, si aggiudicherà, poi, la piazza d’onore. La Marchigiana è una bestia piccolina, che ingrassa con facilità.
La carne, alla visione autoptica, denota una presenza di fibre discreta. Saporita, piacevole e anche i fagioli di Sarconi, nelle varianti Monacheddu e Noseddu – sembrano, a dire il vero, più due della Benemerita sarda che di targa lucana - sono piacevoli, farinosi; un palato tristellato presente per caso e di passo se li immagina a fare Passata con una banda di trippe… anche se qui, a far volemose ‘bbene, ci sta un ottimo Montepulciano, il Rosso Conero di Garofoli.
Pausa pubblicità, foto, bandane a gogo, sorrisi, qualche occhio eno..bleso, ma the show must go on.
Romagnola con Fagioli del Papa.
La nobiltà papalina non serve a promuovere una carne invero leggermente fibrosa, un po’ secca; niente di quella gustosità adriatica della grassotella marchigiana; forse noi, a pensar di romagnole, associavamo istintivamente Serene visioni alla Tinto Brass. No, qui in effetti, a confronto, siam moscietti, anzi seccarelli, come certe palestrate troppo muscoli e poca… sostanza.
A riequilibrare delusione autoctona il Rosso più interessante della giornata, un eccellente Sangiovese Riserva dell’ Azienda San Valentino, senza dubbio il telegatto della serata, wine version.
Sarà stato il pennello del Fattori ottocentesco, oppure il mediatismo tardonovecento del Dario da Panzano, che ne racconta tante, ma di panzane ne dice poche, fatto sta che l’attesa per Sora Chianina l’era grande. Gli Zolfini, poi, ci stavano a pennello.
Big Delusion, come il Pantani dell’ultimo Giro. Carne fibrosa, poco saporita. In effetti, all’esame visivo se ne era evidenziata la sproporzione tra “ciccia” vera e fibra di contorno.
36 pupille, più o meno all’unisono, e più o meno simmetriche e coordinate, si rivolgono al CazzaProf.
E qui emerge il vero Signore, l’uomo che, forte anche degli insegnamenti del nonno (“quando vinci non umiliare mai l‘avversario”), si erge a perry mason di universo vaccino: “…sì, in effetti non è proprio il massimo ma, in fondo, non sappiamo come sia stata allevata, cosa abbia mangiato…”, sembra quella piubblicità del Grana Reggiano, solo che qui la Sora Chianina l’è stata pure digerita e quindi non può più scappare, ma basta guardare l’occhio e il baffo del Cazza (che parlano molto meglio delle parole, per chi lo conosce bene)… si sente come l’Arrigo dopo il 5-0 al Real Madrid, e senza gli olandesi.
Fanfare, squilli di trombe, s’avanza la Piemunteisa.
I palati ancora in corsa sono come quei dodici cilindri di Maranello all’ultime battute della 24 ore di Le Mans; qualche scarburato in giro c’è, ma il ruggito dei fuoriclasse emerge ancora, almeno per la maggior parte.
La Fassona s’avanza gentile sul piatto con i Fagioli Risina, baccellini gentili di umbratile schiatta messi lì, discreti come certi coniugi tacheriani a non disturbare, sorridenti per le foto d’agenzia.
La carne è elegante, femminile, nel senso piacevole del gusto; pensate a Carrol Baker, “la bambola di carne” o all’Anitona di felliniana memoria: carni, curve a voluttà, pur se siamo tra garretti e sottopance.
Anche qui flash back preoperatorio: fibra sottile, sembra la trama di un microprocessore, tutta “ciccia”, poco grasso, ecco perchè è più succulenta; la stessa differenza che c’è tra una “quarta piena” e quegli air bag derivati dalla silicon valley, fossero pure quelli di pamela anderson.
‘Mminchia ‘bbanana, è il commento di quello che ha le quattro morose per cinque telefonini (mai mettere limiti alla provvidenza) … che bella giornata: la bandana, la coda, il codone e il codino (che non è Baggio); ciao mamma, torno presto; però, quel gran “pesso” dell’Ubalda, cioè no della Fassona… Sora Chianina, torna tra le tele del Fattori…
Le truppe cominciano a disperdersi, chi fuma l’ultima sigaretta, chi si fa fotografare per gli almanacchi della sua vita gaudente; qualcuno si è rifugiato nelle cucine scambiandole per l’Orient Express, sezione cuccette.
Solo pochi, come il Marlon Brando de Il Selvaggio, sono pronti a resistere alla pugna sino all’ultima portata; gladiatori del terzo millennio, ed ecco, come a premio di sì coraggiosa traversata tra pance e sottopanze, il trofeo a celebrare tanto peregrinare zoccoloso... “La” Bistecca del Viandante. La pepita cazzamalica che sol qui potete gustare nello splendore del technicolor.
E’ uno dei capolavori della giornata e dell’arte macellara; è come trovarsi la Gioconda all’ ultima sala del Louvre.
Si tratta di un originale taglio particolare tra la IV° e la V° costa, border line, ciccia di confine tra quarto anteriore e posteriore; quello umile, il primo, ma di solido lavoro muscolare, ben irrorato, sapido; e quello un po’ più borghesuccio, un po’ retrò, pigrotto forse, dai quarti di nobiltà presunta da parte di palati distratti, quelli della fettina & filetto, per intenderci.
Qui il Franco Beccaio si diverte a tirar la frollatura ai limiti di potenza vaccina, pare quasi il Majorca che andava sempre più giù, principe degli abissi; qui si può arrivare di frollatura sino al 25° giorno, ma anche il traguardo della mensilità non è inarrivabile.
Un bistecchia maschia, sapida, grassa, di struttura, premio finale a quanti non solo hanno macinato chilometri per arrivare achì, in quel di Rubiera, ma anche, in questa zoccolata felice per meridiani e paralleli d’ Italia vaccina, hanno percorso una guinnes marathon da tramandare a futura memoria. Poi, come quei Jumbo che toccano terra dopo il periplo del creato, hanno ricercato, non tutti, ma i più, un rullaggio morbido verso l’hangar di casa tramite altre delicatessen dolciarie e spirit..ose a concludere degnamente, con foto di gruppo da baccanti ebbri e gioiosi, un presansilvestro carnevalesco, da ricordare, da Viandanti – felici - del Gusto.
Categoria: Sararliche
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