Un contributo di cronaca, "IDENTITA’ … GHIOTTONE", scritto per Civiltà del Gusto in merito alla consueta kermesse milanese organizzata dal bravo Paolo Marchi.
Marchi di Gola, Marchio di Sostanza.
E non poteva essere altrimenti, con la terza edizione di una manifestazione che, in pochissimo tempo, si è imposta come un grande classico del golamondo nostrano a proiezione internazionale.
Simbolica la sede, quella Borsa Valori emblema storico di un mondo economico che sempre più trova sinergie ad alto valore aggiunto collegato al Made in Italy; e cosa meglio, come Ambasciatori nel mondo, accanto a stilisti e designer, anche dei nostri Cuochi, dei nostri Prodotti frutto di una penisola dai mille Campanili, Piatti, Storie dalle forti Identità Golose e Ghiottone.
Parata di Grandi Star, fin dalla prima mattina, con un inossidabile Davide Scabin che, nei suoi percorsi tra tecnica e tradizione, ha illustrato le nuove frontiere della salatura controllata, partendo dall’affermazione che chi sa gestire la salatura di un piatto è in grado di controllare un buon 50% del Gusto, oltre che la salute propria e dei suoi commensali.
Certo, controllare il sodio nei nostri piatti è molto importante, forse è per quello che, per rendergli onore, lo spruzzatore del “sale liquido” pareva preso da una trousse di Valentino (o forse era di Versace?).
Ha giocato in casa Carlo Cracco, il Samurai della Cucina Italiana, che ancora una volta, con il suo stile apparentemente distaccato e minimalista, ha portato una testimonianza della sua Cucina frutto di Estro, Fantasia e Azzardo misurato.
Come si potrebbero altrimenti definire le sue reinterpretazioni delle “Cozze” al forno e dell’oramai pluriconosciuta “Insalata Russa”, un gioco divertente per ricordare i suoi esordi come garçon di cucina.
Pur febbricitante Ferran Adrià non ha deluso il suo pubblico e ha dato la consueta lezione magistrale enfatizzando ancora una volta come la tecnica, la scienza siano un aiuto, ma non possano prescindere da una materia prima impeccabile, materia prima che va conosciuta per cercarla al mercato prima e sapendo quello che può dare poi in cucina, Cucina che deve fare i conti con il territorio e con quello che ne può derivare dal mix tra cultura e tradizioni locali e conoscenze di uso oramai internazionale. Sono seguiti diversi fuochi d’artificio tra preparazioni che tornavano con l’occhio alla nouvelle cousine e altre, invece, che andavano oltre le colonne d’Ercole del mondo conosciuto.
Massimo Bottura non si è smentito, confermando ancora una volta la grande tensione emotiva ed emozionale che lo porta a percorrere i suoi sentieri del gusto. Ecco allora il coinvolgimento immediato con un uditorio attento che si è fatto condurre passo dopo passo da quella che è l’illuminazione per una nuova idea, alla verifica di riuscire a che la filosofia si materializzi tra tecniche e ingredienti, sino a divenire realtà confezionata in diretta con il Bollito non Bollito di Pesce.
E, nella Botturasofia, un caposaldo si è ben fissato nei partecipanti, e cioè che il saper usare l’avanguardia nella tecnica serve per crescere pescando nella tradizione: chi conosce la sua Tavola, questo concetto l’ha ben chiaro da sempre.
A seguire, in un ideale prosecuzione dei Boys del Vivaio Marchesi, un emozionato Paolo Lopriore che, nella sua Certosa senese, ha riproposto letture personali di Tradizione (Porcini con Tabacco e Funghi), così come richiami a un Mare lontano (Ravioli di mare con Ricci) e una divertente rivisitazione di una apparentemente banale Torta di Carote.
L’intervallo, per chi non andava ad annusare i ristoranti del circondario, era allietato da un susseguirsi di Stand (e standiste…) che anno riconciliato lo Spirito con la Panza e il Corazon.
Un plauso sinceramente complessivo a tutti, perché non solo gentili, compartecipi, ma anche generosi nell’offrire bis plurimi e terni in degustazione gratuita.
Come la Cucina è uno specchio anche dei loro Autori.
Da un Bottura comunicatore autodidatta ad un Moreno Cedroni che ha baloccato l’uditorio giocando perfettamente a due voci con il suo partner radiofonico, quel Federico Quaranta voce narrante del noto Decanter radiofonico assieme al vecchio socio, l’ “Inutile Tinto”, ben posizionato in Sala Cucina/Assaggi. E la Cucina di Moreno si è narrata così, leggera e divertente come i suoi piatti, che lievitavano in diretta. Un’ esempio coerente, in linea con la dichiarazione d’esordio, quando Bandana Moreno partiva dal presupposto che, avvicinandosi oramai alle tavole generazioni che non hanno conosciuto la fame, ne deriva come vi sia bisogno di offrire loro stimoli nuovi e diversi, in modo tale che le proposte di una Cucina Moderna debbano essere equilibrate e “buone”, pur nella loro ricercatezza e originalità.
Mauro Uliassi, alla grande platea della Sala delle Grida si è presentato con quel passo lieve che lo vede protagonista anche nel suo locale, quando, girando per i tavoli, cogli che non vede l’ora di tornare tra le pareti dei suoi fornelli.
Il suo è stato un piacevole amarcord sulla Cultura del Pesce nel marchigiano. Un tempo, il desinare di pescado era prerogativa di una stretta fascia di popolazione marina, ora è patrimonio consolidato estesamente anche nell’entroterra. E da lì, quindi, l’illustrazione della progettazione e nascita delle diverse proposte che abitualmente si possono incontrare alla corte di Tavola Uliassa.
Il ritorno al respiro internazionale è avvenuto con Frédéric Bau, Ambasciatore del Cioccolato lungo i vari percorsi di una Carta non necessariamente vincolata alla voce “Dessert”, e un suo appetizer finalmente è scorso lungo la platea affamata ed eccitata dalle immagini in diretta di chi per lei, in sala di regia, si gustava i piatti. Il Foie Gras al Cioccolato, in effetti, ha un svolto un po’ il ruolo del dolce e buon samaritano.
L’intervento di Joan Roca, uno dei Mestoli Principe della Cucina Iberica, era molto atteso e non ha deluso le aspettative dei suoi molti fans. Immagini e concetti si sono sviluppati lungo i diversi percorsi che si possono inventare usando sapientemente e scientemente il vino in cucina, vino che non è sparring partner ma protagonista e telaio di un piatto.
La seconda giornata ha trovato nella mattinata un momento di alta tensione emotiva ed emozionale.
Se è vero, come è vero, che nel grande tessuto dell’imprenditoria italiana, caratterizzato da una forte componente familiare, è vivo il problema del passaggio generazionale, questo è attuale anche nel mondo della ristorazione, e non solo nelle piccole trattorie delle realtà periferiche e connettive di questo importante settore, ma anche nei vertici assoluti, quelli con una tradizione e un blasone conosciuto e ammirato all’estero.
Ha fatto tenerezza, pertanto, vedere Corrado Assenza presentarsi sul palco con il giovane 16enne e liceale Francesco e, assieme, hanno raccontato una storia, fatta Piatto, in cui, pescando dalla tradizione dei prodotti della loro terra, anzi, della loro contrada, del casolare di famiglia, hanno dato vita ad una Z’Isola di Terra (Riso mantecato alle mandorle, con vinacce, miele e finocchietto), con una ricostruzione quasi fotografica del piccolo feudo degli Assenza, ma anche offrendo una rivisitazione divertente di un prodotto “foresto”, quale un Raviolo Mantovano in stile siciliano. Una considerazione di Corrado ci ha colpito. E cioè quella che, nell’usare un certo tipo di Grano autoctono oramai in disuso in quanto poco produttivo rispetto ad altri, non vi è nemmeno la possibilità, per gli eventuali archeoagricoltori, di ottenere qualche incentivo sì da recuperare questi ceppi di tradizione e tuttavia a rischio di evidente estinzione.
…. E poi si parla di valorizzazione del Made in Italy...
Che la Familia Alajmo non fosse soltanto un indovinato logo tristellare lo si sapeva, ma ancora una volta, sul palco, Massimiliano & Co. hanno destato emozioni, come avviene abitualmente alla loro tavola.
In primis Mamma Rita, che, nel suo composto silenzio di relatrice emozionata, ha raccolto una standing ovation affettuosa, e poi Massimiliano, con quel tono caldo, rassicurante, frutto di una serenità prima interiore che professionale, e da ultimo Erminio Alajmo, consumato entertainer, che ha deliziato la platea con aneddoti sconosciuti sui suoi giovani Alajmo Boys, facendo idealmente compartecipare anche Raffaele, sentinella di guardia in quel di Rubano. Divertente la doppia lettura, a distanza di ventanni, degli Gnocchi di Rape Rosse, by Mamma Rita prima e illustre pargolo poscia.
E lo stesso feeling tra relatori e uditorio è proseguito, pur se con sfumature diverse e personali, con la Famiglia Santini, che ha pescato nei ricordi di una attività in cui le generazioni si sono alternate in maniera armonica e progressiva nel mantenere una tradizione dettata dai tempi della natura. Adesso sono 3 quelle che lavorano in Cucina e 2 in Sala. Nadia Santini ha confermato la sua grande classe, ricordando come, ad una Tavola, si cerca di soddisfare saperi e bisogni che non sono unicamente alimentari, ma anche culturali ed economici, intendendo con questo una attenzione al settore della Cucina che non è solo legato alle mode, ma che innesca e mantiene tutta una Filiera di artigiani e produttori di cui la Tavola, la Cucina, sono uno degli attori, pur se il principale, il più evidente.
E ci è molto piaciuto anche il Giovanni di terza generazione, perfetta sintesi della sensibilità materna – applicata anche alla Cucina - e della straordinaria capacità comunicazionale del papà Antonio, l’ indiscussa Feluca Principe della Ristorazione Italiana. Un bel quadro di famiglia, solido, compatto, consapevole di essere depositario di saperi e sapori per cui ”la piacevolezza dell’anima si trova sopratutto nelle percezioni del gusto, dove si possono dare emozioni ed autenticità, e dove la Cucina è il miglior modo per incontrare il mondo”.
Infine la petardata tristellare che dura da tre generazioni e che, coerentemente, non poteva che declinare in “Troisgros”, nomen omen, si direbbe.
Chef Pierre ha dimostrato ancora una volta come, in transalpinia, la considerazione mediatica degli Chef, o dei Cocineros, per dirla alla Garcia Santos, sia una tradizione consolidata. Infatti, Pierre Troisgros pareva perfettamente a suo agio nel ruolo di protagonista sul palco, oltre che dietro i suoi quotidiani fornelli.
Come lui, forse, solo Moreno Cedroni, ma lì si tratta di attitudini naturali.
Divertente, comunque, il siparietto tra padre e figlio, che si sono passati la palla generazionale sotto forma di un Salmone all’Acetosella, interpretato dall’uno in maniera tradizionale, quando fu rivoluzionario all’inizio dei ruggenti anni ’60, e reinterpretato nel terzo millennio dall’oramai maturo Michel.
Gran Finale, come dicevamo, con una parata di Stelle e Regali Cappelli senza pari, grazie alla presenza del Divin Gualtiero, il Maestro per definizione, i cui allievi sono sparsi per i diversi fornelli di Enotria, alcuni con vette personali raggiunte in proprio, senza mai dimenticare il loro iniziale precettore che pure, a suo tempo, era migrato con valigia e pignatte al di là delle Alpi, alla corte dei Troigros, l’allora padre di Chef Pierre e il coetaneo Pierre stesso.
Che dire, complimenti a Paolo Marchi per questa felicissima intuizione che ha confermato, ancora una volta, come in Cucina, nonostante l’avvento di sferificazioni più o meno inverse, abbattitori o molecolarità assortite, prevalga ancora una volta l’anima, quella vera, legata alla sensibilità di chi sa scegliere la materia la prima, la trasforma con l’occhio al territorio, alla tradizione e la propone a chi, avventore più o meno di passo, può condividere sapori, saperi ed emozioni perché, come diceva Nadia Santini … “la Piacevolezza dell’Anima passa sopratutto per il Gusto”.
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Categoria: Sararliche
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