Proseguiamo in questo diario goloso che, attraverso un Veneto centrale fonte di millanta curiosità di gola, ci porta a fare ripasso di luoghi della memoria e non.
Tra l’ altro, con un occhio attento a quelle realtà di una media ristorazione terragna e tradizionale che, tuttavia, al di là delle nuova galassie molecolari e sansebastiane, rappresenta il vero tessuto connettivo del nostro territorio, della nostra storia.
Sono quei locali, stretti in una morsa potenzialmente letale, che devono districarsi tra mille realtà: lasciando stare i più o meno ambiziosi Chef d’ ispirazione stellare (con alcuni dei quali capita di fermarsi più che altro all’estetica dell’impiatto), parliamo di confronti con Risto.Pizzerie, Agriturismi la cui materia prima è lo scaltro opportunismo del capta moment, spesso ciarpame vario che poco o nulla ha a che fare con quel particolare mix alchemico che coniuga il piacere di una convivialità senza tempo, della ricerca d’antan di filiere del territorio, il tutto abbinato ad una equilibrata rivisitazione di una moderna tecnica dell’accoglienza … todo modo.
In questa puntata la storia si inabissa nella notte dei tempi che, nello specifico, passano per lo foco degli spiedi.
Ci troviamo sul versante sud ovest del Montello, una delle patrie d’Italia celebrata dai tempi della Grande Guerra.
Montello, invero, sorta di verde Ayers Rock posta ai confini tra pianura e pedemontana trevisana.
Un mondo a parte, con le sue leggende, storie e tradizioni.
L’Arsenale della flotta Serenissima aveva qui una delle sue vene legnifere più importanti.
La storia delle sue genti (i “pisnenti”, quelli che non hanno niente) è stata magistralmente narrata da Gian Domenico Mazzoccato, anni fa, nel suo bellissimo “Il Bosco veneziano”, ed. Santi Quaranta, una Spoon Rover tra prosecco e ciodetti (chiodini, quelli della famiglia dei funghi).
A Ciano del Montello, ovviamente, c’è un Museo della Grande Guerra, uno dei molti della cintura montelliana.
A Ciano del Montello, c’è Toni Forcheton di cui, adesso, andremo a narrarne le gesta.
Come nelle migliori tradizioni, si parla solo di storia orale, nulla di scritto, né alla Marciana e tantomeno agli Uffizi.
Toni “Forcheton” era il nome del padre fondatore, di nome Toni, ovviamente; il nick name ne ha sepolto il cognome, tanta e tale la fama del nostro, in loco, che prende piede dall’ inizio del secondo dopoguerra.
Il “Forcheton”, giovanetto, era diventato mastro di brace e spiedo presso uno degli emergenti della vicina pianura, in tempi di boom economico e di una venetica gens che passava dal dorso di mulo al dorso di Vespe & Lambrette, alcuni, i più nobili, 500centati o addirittura, i più abbienti, 600centati.
Rino Fior, nella marca occidentale, è nome da tempo noto, anche ora, pur se i tempi sono cambiati e anche lo spiedo, da lui, non ha più la stessa nomea (e lo stesso ruolo) di un tempo.
Spiedo che resiste, invece, tra questi quasi montanari di Ciano, grazie anche a Rita, forchettona generu natu, ossia pargola del Toni.
Ciano è un paese da cui, tanto per farvela attuale, mosse i primi passi il compianto Claudio Buziol, padre fondatore di Replay, uno dei global player del casual wear dans tout le mond.
Ora che lui non c’è più, la merceria della mamma è ancora lì, a due braci e mezza dallo speo Forcheton.
Ciano è un paese per le cui viuzze intonse Florestano Vancini potrebbe ancora realizzare un film con i muli e i sergenti smoccolanti del Generale Cadorna.
Toni Forcheton, da fuori, non vi direbbe assolutamente nulla, dovete entrare sulla fiducia della tradizione orale e attuale.
E’ un mix.
Qualche mobile della nonna, una stube sulla prima sala (se potete non entrate nella grande sala a sx, perdereste metà dello spettacolo).
Se siete “accuorti” e vi sedete sul primo tavolo a dx. della sala primigenia, avrete la vista fronte cooking, spiedo e vetrata a vista. Come alla Scala, il palcoscenico spiedante è più su di due.tre scalini.
Parte lo spettacolo e cominciamo con le dolenti note.
Se siete talebani del Risto. a dimensione di circolare Asl o del gourmeticamente corretto, fate la prima matita rossa.
Il Menù scritto non c’è, è a voce.
Sui Vini, ahimè, es la misma litania.
Se rimanete seduti, e vi fidate, si può continuare.
L’inizio è di scuola.
Affettati e Sottoli.
Si ragiona di Capocollo, Soppressa filettata e Salame fresco.
Il protocollo fila colesterolmente e organoletticamente congruente.
Degni di menzione i Sottoli.
Degli apparentemente banali fondi di carciofo superano di gran lunga i migliori della memoria nonnesca: belli, croccanti e sapidi q.b. (poi ne scopriremo il segreto).
Idem dicasi per i Chiodini pierini, ossia nidiate di chiodini impuberi, raccolti nottetempo, è proprio il caso di dirlo, perché, se li vedeva cogliere così in fasce, il reverendo Bresadola (patrono micologico e italico) avrebbe scomunicato i Forchettoni a divinis e da tutti i boschi del regno … ma a tavola, anche i peggiori peccati, se riusciti, ottengono immantinente l’ indulgenza plenaria et calorica.
Il segreto, dicevamo, sta anche nella concia, in cui si usano sali aromatizzati dell’orto, … e abbiam già detto troppo, violando il segreto confessionale della sala fuochi & spiedi associati.
Ottimo lo Scalogno. Sappiamo che a Ravenna ne detengono (e rivendicano) la paternità urbi et orbi, ma anche questo, di vicina origine pedemontana, può giocare tranquillamente in serie cadetta.
Buona anche la “merenda del venerdì” ove si narra di Sarde in saor (“saorate” al punto giusto); di yellow pepper spellati a far di camicia ad aciugheta conseguente; ottima la marinatura delle Alici in tris.
Et voilà la “Gondoleta serenissima” (voi ricordate che il Montello era giacimento boschivo per le galere del Doge?).
Su foglia radicchia giacciono negligenti due fettazze di Salame scottato con Polenta, Morlacco & gli immancabili Chiodini, rigorosamente del Montello, ça va sans dire.
Il Salame conferma che, in alcune stalle del Montello, c’ è ancora qualche suino trattato come il Divin Porcello narrato da Riccardo Di Corato (ed. Idea Libri, 1984).
Arriva, direttamente gratinata al forno, la Zuppa di Porri, maritata con gruyere e un bel boccone di pane legnato.
In sé un buon piatto autunnale, di conforto, di conforto dopo aver letto, come intermezzo, due o tre volte Guerra e Pace o, nell’ originale, senza il confortante Rocci a lato, Le Guerre del Peloponneso by Tucidide.
Neanche gli esploratori del viaggio al centro della terra di Verne, partiti dai freddi vulcani islandesi, avrebbero potuto affrontare tanto. Il Farenheit 451° di Ray Bradbury, a confronto, era un sorbetto ai … chiodini.
Scherzi a parte.
Si sa, a volte, presi dalla frenesia della sequenza “a seguire”, ci si perde nel perseguimento del particulare; tuttavia, considerata anche la giunonica comanda, aver tolto dal forno la zuppa porra già al momento del servir d’affettati non avrebbe certo fatto arrivare la pietanza frigida alla chiamata della sua scesa in campo. Tuttalpiù, il commensale peloso avrebbe chiesto di riporla, per un attimo, al ripasso di forno.
Passiamo alle Tagliatelle con i Chiodini che mondano da ogni peccanza fornarola il piatto antecedente.
Le tagliatelle non ci sembravano di matarel indigeno, ma tant’è, i Chiodini, belli, grossi e corposi come quelli che usa Messner sugli 8000, risultavano protagonisti assoluti: cottura perfetta, fondo di cottura conseguente.
Il Manuel di terza generazione, front man in sala, ce li presenta con un “no assolutamente parmesan, al massimo un mezzo giro di pepa”. E infatti … pepa la vida con los chiodinos de los montellos nosotros.
Il Coniglio arrosto merita un piccolo cameo che vuole riscattare anche l’ imprevista lettura di Tucidide.
“Che tagli preferisce del Coniglio ?”
“Quelli che vanno meglio a voi però, se possibile, con un po’ di frattaglie, grazie”
Non serve spacciarsi per o accompagnarsi con giornalisti per captare l’attenzione dei forchettoni di spiedo; basta sapersi presentare e confrontare come appassionati e potenzialmente complici di una Cucina che richiede sudore e passione (davanti ad uno spiedo, poi…).
Il Coniglio è uno dei migliori mai mangiati ultimamente.
Rigorosamente con le mani. Anche Monsignor Della Casa si sarebbe rimboccato le maniche e sarebbe andato ai quattro palmenti, lasciando le posate a cause più normali.
Frollatura, tessitura e consistenza, gusti e retrogusti: di tutto un po’; cortile puro, niente di più (grassi accessori), niente di meno (sentori fuori luogo).
E poi le frattaglie … cuore, fegato, rognoncini associati ….
Arriva Rita (forchettona genere natu, etc. etc.): “sa, spesso le frattaglie non sono molto gradite, io qualcuna comunque la lascio; il cuore me lo mangio sempre io ma, stavolta, mi fa piacere essere stata a dieta”.
Per la cronaca, ma meritano citazione, delle perfette Patate al forno, anche quelle by Montello, salate q.b., toniche, performanti … e i nostri ragazzi hanno il palato con le stigmate d’imprinting di quegli orrendi cloni sparati dalle macchinette, congelati e poi resurti agli infrarossi delle mangiatoie paninare (e non solo, è quella la rabbia).
Sulla caceria ci sono tre proposte, tuttavia optiamo per una Caciottina (montelliana), fatta random da un casaro che non
ha nulla da spartire con caseifici sociali & so on.
Bella, semplice, caciotta senza essere stucchevole.
Si dessertizza un po’ qua un po’ là.
Sulle onde di un’ antica consuetudine ci viene proposto un Dessert sperimentale (Torta di Zucca, Fichi & qualcos’altro): buono, da zuppettare la mattina, preferibilmente con abbinamento birichinamente alcolico.
Tuttavia il bis lo facciamo con ‘na creatura che potrebbe apparire banale e scontata, ma che non è né l’una né l’altra.
Sul Tiramisù potete trovarvi le sperimentazioni, riletture, rivisitazioni più varie.
Qua siamo in una Trattoria a gestione familiare che più familiare non si può.
Eppure … eppure, con un po’ di amore e fantasia, il talento dell’uomo (che qui è una donna) non ha confini, anche senza abbattitori e molecolarità azotate.
Quel lieve filo di caramello che accompagna “la noce “ di Tiramisù ce lo ha fatto apprezzare, come fa un (oramai) vecchio zio con il giovane nipotino che lo fa divertire in maniera spontanea e naturale.
Sui titoli di coda le solite quattro chiacchiere che non fanno mai male, tanto più che era una rimpatriata che mancava da lungo tempo.
Toni Forcheton, come dicevamo, è un locale che ha saputo resistere, con il suo Dna originale, adattandosi, ma senza perdere l’ ispirazione primigenia, al corso del tempo.
La gestione familiare la si palpa, si sente, con tutte le problematiche correlate. Sorriso e accoglienza sono degne di encomio, si sente che il giovanotto, Manuel, ha frequentato, come collaboratore, locali molto importanti.
La Cucina, nelle mani di Mamma Rita, procede con barra dritta e sicura. Qui si trovano certezze, non ci sono birignao (certo, l’ ingenuità della Zuppa servita a livello di fusione termonucleare andrebbe rivista, ma viene perdonata da tutto il resto).
Facendo i Della Porta Raffo (il divertente “precisino” di una nota rubrica fogliante) ci sarebbero alcuni aspetti da limare alquanto.
Il Panem è un po’ (molto) da pizzeria. Migliorarlo non crediamo che incida pesantemente sulla cuenta finale.
La Cantina è un po’ approssimativa. E’ vero che qui abbiamo incontrato, a suo tempo, una delle nostre passioni terrone, quel famigerato “Cappello di Prete” di Mastro Francesco Candido; tuttavia le lacune sono colmabili con un po’ di ricerca sul territorio, senza affidarsi a quei rappresentanti “missionari della buona etichetta” che ti compilano la cantina a piè di lista. Manuel Forchettone III°, in questo, ci è sembrato motivato e curioso.
Toni Forcheton è un locale del buon ritorno, dove non si troveranno rivoluzioni copernicane ma, senz’altro, alcune tra le migliori interpretazioni della sua terra, un Montello grande contenitore di raiders di comitive trituranti che, specie nei week end, spacciano lucciole per lanterne o bulloni per chiodini.
Se si è fortunati, Renato “il bracconiere”, fornitore della real casa, può farvi trovare anche qualche sorpresa “fuori carta” (di una carta che non c’è): da una Lepre ad un Fagiano “sparati” a pelo di schioppo.
Toni Forcheton, giustamente, dovrebbe rientrare, a breve, in quell ‘ingegnoso circuito dei Locali a “Km.0”.
Tanti Auguri, Forchettoni & Chiodetti.
TONI FORCHETON
Via Unione, 1
31030 Ciano del Montello - TV
Tel., 0423 – 84147
Cuenta Media: godendo, ci state tra i 30 e i 40 eurazzi ben spesi.
Categoria: Sararlo Graffiti
Questo sito è un Minotauro Virtuale,
nato dall'incrociarsi
di racconti scritti e visivi,
in un luogo di confine tra
un Vittoriale Gastronomico
e il Paese dei Gastrobalocchi
© 2009 - 2024 powered by Sararlo
progetto grafico Helvetika · sviluppo Quamm Web Agency Padova