Le grandi Città, come le belle donne, e quindi come le opere d’arte, hanno un loro fascino particolare, che le rende uniche e irripetibili.
Berlino è una di queste.
Berlino è una città … felina, dalle mille vite, ferita e poi risorta.
Risorta alla grande, a partire da quel mitico “Ich bin ein berliner” di JFK, alla inevitabile caduta di un Muro tarlato dalle fondamenta, all’ esplosione dei mille aspetti di una città in continua evoluzione, in working progress costante.
Innamoratici di lei in Estate, a rivederla in inverno è ancora più bella, di una bellezza diversa, con un’ esplosione di Stille nacht che non credevamo possibile nell’ austera razza teutonica.
Ma i Berlinesi sono diversi, forse perché Berlino è diversa … Ma, chissà dov’è il bandolo.
Ma … il Ma, in questo caso, è una meta, non una postilla dubitativa.
Il fato benevolo e complice ci ha reso da millantanni amici di uno dei più grandi Gastro.ritrattisti dell’ emisfero nord, tale Wolfgang Wesener, in arte Wo.We, uno che, nella sua vita, ha fotografato di tutto di più. Stando “in tema” gente come Adrià o Ricasoli, Mondavi o Ducasse non hanno segreti per il suo obiettivo.
Ma ha fotografato anche Willy Brandt, Michael Shumacher, Karl Lagerfeld, Bono & Liza Minnelli.
Insomma, se volete saperne qualcosa, a Berlino, in questi mesi, c’è la sua Mostra del 25ennale
(www.co-berlin.com): oltre 200 immagini pubblicate (anche) per il New York Times Magazine, così come la Frankfurther Allgemeine Zeitung e via di rotativa.
Wo.We è l’autore di In.Gredienti, il maxlibro di Casa Alajmo.
Wo.We è il nostro ritrattista personale, c’est dommage.
Ma … ma cosa c’entra tutto questo ?
C’entra, c’entra: primo perché la Mostra è bella; secondo perché non potevamo non essere presenti al relativo vernissage, e terzo perché cotale Wo.We, globetrotter che si sente a casa sua un po’ il tutto il mondo, non poteva che condurci in luogo eletto a celebrare il rito gastro.baccante di turno.
Tim Raue è un giovanotto di belle speranze che ha bruciato in fretta i gradini dello star system berlinese.
Dopo una stella gommata conquistata presso il Restaurant d’ altro Hotel , da alcuni mesi ha preso in carico il MA, ambiziosa proposta che ruota attorno ad uno dei miti berlinesi da poco risorto come araba fenice: l’Hotel Adlon.
Luogo da sempre meta eletta del bel mondo, di ambasciatori, attrici, padroni del vapore, guappi e spie di tutti i continenti. A quattro passi dalla porta di Brandeburgo l’ Hotel Adlon è riemerso dalle ceneri cui lo aveva ridotto la guerra hitleriana e il seguente drappo rosso steso dall’ orso russo.
Nei quattro passi che fate dalla hall dell’ Adlon all’ entrata del MA passate davanti alla garitta dell’ Ambasciata della Queen Elizabeth (e di James Bond), così, tanto per farla minimalista.
Diciamo che, una volta varcata la soglia, si percepisce scelta di alta gamma.
Decor barocchi con sfumature orientaleggianti.
Sulla Destra vi è una specie di Lounge Bar dove belle femmine arrivano accompagnate da degni gorilla.
I normali bipedi che non hanno bisogno della paparazzata per i tabloid svoltano invece a sinistra, verso les salles à manger.
Nell’ appropinquo passate innanzi at The Krug Room, là ove si riunisce l’aristocrazia bollare de Bèrlin.
Per un attimo si ha la sensazione di essere nel foyer di un nobile circolo ippico: vi sono equini ovunque, non solo nel logo stradario, pure nella porta a vetri per non dire nelle due sale, versione (in scala) dell’ eroe di Troia; chissà, forse nelle panze saranno custoditi a marinare wurstel e qualche salsiccia fumè.
Tutto ippicizzato anche tra le stoviglie, ovviamente.
Bella la Cucina a vista, sembra un acquario umano con gli addetti alla sala fuochi. Acquario con uso di Orto Botanico, perché si narra che, colà, esercitino la Cucina Fusion e quindi con importanti contaminazioni orientaleggianti.
Qua i crucchi son gente pratica e, quindi, al sedervi troverete già i primi saluti della cucina, in versione poker, quattro come le zampe di Troia.Furia, il pony del locale.
A parte degli Anacardi peperoncinizzati che fanno post happy hours (in Germalandia si desina presto), da segnalare una specie di Carpaccio di Rape marinato alla senape, in Jap Style.
… molto buono al gusto, da bis.si & ri.bissi.
Da 9 settimane & 69 i bastoncini in silver sex.
Puro Eros a tavola, per pochi, non per tutti.
Il Poker si completa con una specie di Rucola selvatica al sesamo e ‘na roba per Lotofagi: delle specie di petali di Fiore di Loto disidratati da pucciare con una sedicente Guacamole … si è vista qualche commensale lotofagizzarsi in forma molto pop.
I guanti neri dell’ impeccabile personale di sala cominciano ad addobbare nuovamente il tavolo reso spoglio dai lotofagi associati.
Molto interessante una Souppe di Scampi con Melone bianco, da gustare lentamente, con il passo della Geisha che vi porterà ai piaceri sibaritici del dopo. Discreta la presenza di aromatizzazioni varie ed eclettiche.
Piacevole anche la Tartare di Anatra, Wasabi & Lamponi.
Fanno capolino sferificazioni molecolari alla Ferran.
Comunque un piatto armonico per architettura edibile, gusto cromatico e…gusto finale, naturalmente.
La Brezza di Mare, in realtà, è un campionario di tutte le sfere che la maison può mettere in campo.
Crema di bisi (leggi piselli) sui fondali; a seguire sfere tapioche che reggono altra tapioca in crema che, a sua volta, è pralinata da biglie dorate e ovarole di mamma squalotta.
Due tegolette ‘n coppa per dare un tetto a tutte ‘ste creature.
Molto bello da vedere, anche per la stoviglia scelta a fare da contenitore.
Leggermente sbilanciato nell’equilibrio tra consistenze e retrogusti.
Qualche tegoletta in più non avrebbe guastato.
Maybe lo Shark Caviar era from Iceland, dove il vulgo lo chiama, da sempre, squalo putrefatto…
E arriviamo ad un apparente omaggio tricolore alla folta brigata piovuta achì dal ricco nord est.
In realtà si tratta di un bacalao che, come quelle sfatte dame delle foto di Weegee, regge in testa un toupet granata di fiori di banana e qualche coriandolo (in erba).
Sotto, il verde non è il green di Aston, ma coriandolo reso poltiglia.
Il Merluzzo si salvava, facendo quasi da prestanome al piatto, il resto era oggettivamente sbilanciato con un prevalere di essenza coriandola che lasciava olezzo di sé nel retrogusto come quando vi potrebbe passare davanti, a fine partita, lo squadrone degli All Blacks.
Tim Raue riemerge dallo stagno coriandolo con il Cetriolo di mare alla catalana con prezzemolo, burro di arachide e champignon.
Bella creatura, decisamente; l’avevamo incrociata l’estate scorsa da Carmen del corazon nostro, la Ruscalleda de San Pau. Il cetriolao meravigliao, versione marina, è roccosiffredianamente performante assai. Guapo l’ accoppiamento orale con i gusti e retrogusti arachidei e champignotti. Il prezzemolo, a onor del vero, ci fa la sua figura (non solo da colorante di complemento).
Dal pianeta Nettuno si ammara nuovamente sul pianeta Terra.
Buono il Guanciale di maiale con radice di Gingseng ed estragone.
E’ una sfida globalizzante, in cui le essenze orientali prendono per prime il sopravvento, anche se poi la “porca salsa” europea vince ai punti sul finale, senza se e senza ma. Indispensabile coglierla al cucchiaio, che però dovete chiedere alla giovane e gentilissima Mia Farrow che vi segue a fianco, balia complice.
Sembra futuristicamente tratteggiato da Giacomo Balla il Piccione con barbabietola rossa e “sugo” ai tartufi.
Un piatto classico, dai gusti rassicuranti pur con qualche invenzioncina che lo aggiorna allo stato dell’arte nel terzo millennio. Ottime quindi le cotture, le consistenze e tutto quanto fa pennuto & dintorni.
La Sala principale è praticamente monopolizzata da Les Italiens (c’è anche qualche presenza Yankee, vista la dimensione internazionale del paparazzo protagonista) e quindi il rito passa progressivamente dal gourmet giocoso ai tratti dell’ euforia baccante ben temperata (ma la notte è lunga, come facevano capire le Kessler, tettesche di Germania pure loro).
Gli autoctoni (e le loro Dame platinate) ci guardano con un po’ di malcelata invidia, loro alle prese con i cetrioli e le banane rivisitate.
Anche i Cavalli di Troia stanno, sui loro piedistalli, immobili a fatica.
Nell’ interludio pre dessert arrivano delle specie di “bananotteri”, un ricordo fanè dei cioccolatati bastoncini Algida, ma qua dicesi vi abbiano frullato e conciato glacèè prevalentemente les bananas oltre al chocolate blanco.
A seguire, perviene un meccano dulcificato, leggesi cubotti di crema chiboust di latte condensato (tipo St. Honorè) con macis (buccia di noce moscata), carruba, sorbetto di sanguinella e kayang (una specie di canoa ?)
Nulla da dire, ma la standing ovation se la beccano i Berliners Rocher, dei bombon con la nitroglicerina incorporata, frutto di speziate combinazioni di puro chocolat & so on.
Li hanno portati a ciotole, ripetute, come per lo sbarco di Normandia, anche se qui eravamo a due passi da Unter den Linden.
Applausi.
Il MA, come dicevamo, è un locale di dichiarata ambizione.
Bravi gli architetti cui è stato chiesto di mettere in campo una globalizzata opulenza terzomillenia resa tuttavia non greve da un tocco minimalista di base.
Da approfondire il perché della presenza di Troia.Furia in ogni angolo e occasione; chissà, forse un omaggio, tra calici e bocconi sferificati, ai colleghi che, da secoli, troneggiano nella vicinissima Porta di Brandeburgo.
Abbiamo bevuto bene con 2 etichette made in Germany, a parte l’ intermezzo del millennio scorso labeled By M.&Ch.
Tim Raue è sicuramente un giovanotto vispo e quindi la holding che ha investito su di lui non si è certo mossa a caso.
Tuttavia ci è sembrato che, su alcuni aspetti, il baby stellato debba ancora mettere a punto i carburatori.
La Cucina Fusion è, probabilmente, un retaggio di nazioni in cui la dominanza di materia prima è inferiore a realtà quali Enotria o Sarkòlandia. Quindi bisogna inventarsi un po’ abbinamenti e situazioni per ritagliarsi il proprio spazio di originalità e identificazione.
Qua abbiamo trovato dei buoni piatti, con ottimi protagonisti (il cetriolo) o comprimari (la salsa porca) e sicurezze evergreen (il piccione); tuttavia, quando il gioco si faceva fusion, a parte la Souppe di Gambas y White Mellon, abbiamo trovato degli squilibri: sulla Brezza di Mare (peraltro perfettamente “disegnata”) ma, soprattutto, sul Bacalao simil tricolore.
Probabilmente, in Spagna, il simpatico Tim sarebbe ancora a pelare le essenze delle patate molecolari facendo la spola tra i Roca Bros. & la Adrià company; qua, nella Berlino di Marlene Dietrich e Otto von Bismarck, al suo tavolo ci si diverte, spesso, ancora non sempre.
Tuttavia la faccia è simpatica, l’occhio sveglio, pur se il talento ancora da affinare, con una proprietà palesemente desiderosa di metterlo nelle condizioni di correre come un puledro di razza.
MA Restaurants
Behrenstrasse, 72
10117 BERLINO
+49 (0)30 3011 1733 3
reservierung@ma-restaurants.de
www.ma-restaurants.de
Cuenta media: calcolate, tutto compreso, 150-200€ (la Cantina può incidere molto)
Galleria fotograficaCategoria: Sararlo Graffiti
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