Ci troviamo nella’alta padovana lungo quella che un tempo fu la via Aurelia.
In una delle sue ultime curve prima di incrociare la consorella Postumia, un po’ più a nord, lì si trova la Locanda Aurilia.
Certo, non è’ antica come la via centuriona che ne ha ispirato il nome, ma la Locanda della Famiglia De Marchi, oramai, da tempo, è presente con solida professionalità negli archivi di palato, indigeni e foresti, dal dopoguerra sino ai giorni nostri
La recente ristrutturazione non ne ha, tuttavia, alterato il dna.
Ancora adesso, entrando, dietro il bancone del bar si vedono, in un angolo, le bocce vuote di una collezione completa di Sassicaia.
Il corridoio tra le tre sale à manger conserva tuttora le foto b/n di famiglia e di paese che sembrano tratte da un documentario di Mario Soldati.
Era diversi anni che non ci tornavamo, tuttavia poco è cambiato, a cominciare dal suo patron e front man, Ferdinando De Marchi. Fisico minuto, baffo composto, occhio vispo.
Tamburelliamo un po’ sulla Carta, incerti sul da farsi, alla fine scegliamo il percorso indicato dalla casa con due tre personalizzazioni.
Idem dicasi con il potus. La Whine Chart parla da sola della storia e della passione che c’è tra queste mure, tuttavia, anche qui, preferiamo il “faccia lei”, anzi, “ci porti quello che piacerebbe a lei, se fosse seduto al nostro posto”.
Iniziamo slow, con degli Straccetti di gallina, sedano croccante e una salsa di rafano e mela.
Un piatto semplice, della porta accanto in cui, comunque, vi è un tocco lieve, acidulo, nella salsa che non lo fa passare inosservato.
L’abbinamento è intrigante, con un sorprendente Incrocio Manzoni Bianco; il produttore, per noi, era un carneade fino a poco pria, tale Bonollo, di Fara Vicentina, terra eletta di beccacce allo spiedo.
Buona mineralità, asprigno q.b. con toni fumè sui titoli di coda spalmati su 6000 bt. x 14.5°. Un mix vincente, bravò De Marchì, l’hai azzeccata anche stavolta.
Tirem innanz con dei Nervetti e Patate bollite. Anche qui prosegue la guideline della casa. Ingredienti semplici e preparazioni conseguenti, con un piccolo tocco in più, che è rappresentato, in questo caso, da una salsa verde diversa dagli stereotipi consolidati. Buono l’ Olio dei Colli Euganei.
Si cambia marcia, non tanto in tema di piatti o abbinamenti, ma perché con il Ferdi si comincia a giocare a quattro mani.
E’ divertente, ogni volta va a finire così.
Leggete negli occhi del malcapitato di turno (jn questo caso l’oste) il busillis ben mascherato “ma chi sarà sto qua ? un ghiottone errante ? uno della finanza ? un giornalista?”.
Nel mentre si appropinqua la Trippa d’ordinanza, il Sommelier autoctono si propone al meglio, todo modo, come si fa agli esami di maturità, cosa, per chi fa questo lavoro, costante e quotidiana.
“Potremmo metterci un Gutturnio…” (ne andiamo pazzi, n.d.r.), “Uhm, quale?” - “La Stoppa” – “ mmmh”
“oppure un siciliano, un Frappato per esempio” – “cioè ?” - ”Occhipinti”.
Ok vecio, ho capito: Triple A c’est ici, ma andiamo di autoctono, lo sapevano già prima che eri bravo.
A Triple A ci si arriva, ci arrivano tutti con il danè o qualche buona lettura; tu sei un cane da tartufo, non ti servono guide e consorzi eletti, viaggiamo quindi di territorio.
E infatti il Tocai rosso di Piovene Porto Godi c’è. Presente e immantinente versato al calice col baffo compiaciuto.
Dicevamo della Trippa.
Per noi trevisani si costuma neutra, in broda, ubriacata di parmesan e la pummarola ci va or not, dipende.
Qua siamo tra “Padovani gran Dotori”, e quindi viene presentata nella versione nobile, asciutta, in bianco con foglie di menta.
Trippa e Tocai Rosso. Heaven can wait Club, ça va san dire.
Si tocaizza pure, autoctoni e contenti, con una Minestra di Farro, legumi vari e Asiago mezzano.
Come nello stile della casa, un piatto della nonna, ma di una nonna che viaggia con l’ ipod di una modernità ben temperata.
Arriva il Gran Bollito (e, con lui, una performante Barbera 2005 dell’ oltrepò pavese, targata Albani 2005).
E’ come alla Sagra del patrono: c’è veramente di tutto e di più. Gallina, Musetto, pii bovi, anzi, manzi che si declinano con le di loro guance, lingue, e altri tagli di bollito eletto.
Contorno adeguato: Cren, Salsa green, Cipollotto e, tanto per stare nel “tocco in più”, un broccoletto romano che ci è stato simpatico assai.
Bene, anche questa Cannonbal in salsa nordestina sta volgendo al desio.
Ferdi De Marchi è una persona vera, uno di quegli stramaledetti - come noi, che non siamo giornalisti, ma banali solisti del trapano - che crede tremendamente nella sua mission, una mission che vive da uomo del suo tempo (Occhipinti, Scolca parlano per lui), ma che non smette di fare il cane da tartufo, di passare il suo tempo libero lavorando
in giro per i meridiani e paralleli del suo territorio a cercare altrettanti pazzi come lui.
Beh, uno ce l’ha vicino, il fratello Osorio, dal nome tanto improbabile, quanto perfetto interprete di una filosofia della buona accoglienza trasmessa dalla famiglia, nel caso l’arzilla mamma, ora 90enne, che non manca, ancora oggi, di fare la sua capatina giornaliera nella locanda che ha preso il nome dalle antiche strade consolari.
Dicevamo di Baffo tartufo.
In effetti, il carrello dei formaggi ne è esempio preclaro.
Poche cose, ma in rapporto al target market del locale, altri loci di ben altre aspirazioni e collocazioni blasonate potrebbero venir qui con il cappello tra le mani.
E’ vero, c’è il Castelmagno (quello doc.dop.igt), il Cabrales e altre due tre robe, tanto per non sfigurare, ma c’è anche altro.
Eccoci allora presentare una Pecora camosciata vicentina; una “Toma persa” sicula dal dna capro.vaccino; un Vezzena 28mesato ma, soprattutto, un “Castelmagno trevisan”, ossia un cacio fatto strano, dalle parti di Conegliano, da una coppia, tanto stagionata quanto affiatata, il cui marito, sino all’altro ieri, era uno stimato camionista …
Per quegli insonni che scelgono come valium le nostre consecutio, un po’ parente del “Castel” che si trova alla Locanda Condo, ma n’altra roba.
Sui Dessert deragliamo virtuosi.
Se il percorso degustazione prevedeva Strudel con Vaniglia (peraltro integerrimo), ci facciamo volutamente traviare da un Tortino caldo di farina maraneo (vicentina) con frutta.
Per carità, da Perbellini, Biasetto, Alajmo sicuramente si proverebbero equilibri più avanzati, ma qua non hanno nulla cui muovere una nota con matita rossa o blu.
F.D.M. (Ferdinando De Marchi, oramai il “fogliese” fa tendenza) ci promuove sul campo.
Dopo i reiterati “faccia lei”, “faccia finta di essere lei al nostro posto”, ci apre il suo cuore che passa per la cantina.
Bottiglia anonima, no label.
Degustazione alla cieca.
Al naso si percepisce Cabernotto, ma c’è anche altro.
Ebbene, la storia. E’ un mix di Cabernet e Marzemino che il pater familias di una agricola coneglianese si inventò tra il 1990 e il 91. Poi il vecchio morì, i figli non riuscirono più a replicare il miracolo alchemico e, quelle 200 bottles, prototipi fuoriserie, sono state sequestrate qua, tra amore e passione, dal De Marchi Aurilio.
Anche la Grappa di Clintòn, volendo, è una chicca custodita senza etichetta che bisogna conquistarsi sul campo.
Spesso, in tema di ristorazione, si scontrano le scuole di pensiero più varie.
Territorio. Cucina d’ Autore. Stelle, striscie & cabaret.
La Cucina è un’ opera d’arte che, però, fatalmente, nel 99.9% dei casi, deve confrontarsi con la realtà: una realtà composta da una clientela mutevole e dalle periodiche velinate del commercialista (della serie, i bilanci hanno le loro esigenze, non siamo alle partecipazioni statali).
Non è facile conciliare tante e tali variabili.
Non è facile se questo lo deve fare un autentico appassionato che sa come si potrebbe fare l’una o l’altra cosa.
L’Arte, per l’appunto, sta nel comporre una propria personale quadratura del cerchio.
Ecco, quindi, la scelta della ricerca della filiera, che si abbina alla cucina del territorio che, a sua volta, si marita appieno con una cucina della nonna del terzo millennio sinergica ad una cantina senza tempo, ma che sa che i tanti piccoli e mille sassicaia, qua in Enotria, bisogna un pochettino anche andarseli a cercare, cum motu proprio, senza aspettare gli incipit delle guide o le strizzate d’occhio dei vari rappresentanti “illuminati e disinteressati”.
Osorio e Ferdinando De Marchi, con la loro Aurilia, questo lo sanno fare. C’è solo da augurarsi che la loro mission venga raccolta, come loro fecero a suo tempo, da nuove generazioni che, con la saggezza e la consapevolezza dei padri, sappiano aggiornare ai nuovi millenni quella che, in fondo, è la regola prima in questo settore: “offrire la piacevolezza dello star bene a tavola, con virtute e conoscenza”.
LOCANDA AURILIA
Via Aurelia, 27
35010 Loreggia (PD)
Tel. 049 – 579 0395
chiude il martedì.
Menù degustazione a 30€
Antipasti: 7-9€ - Primi: 8-9€ - Secondi: 12-14€ - Dessert: 5-5.50€
Categoria: Sararlo Graffiti
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