In questo Veneto che sta cambiando velocemente per non perdere il passo con i tempi (e con il mercato) c’ è anche chi ha osato il … GranPasso.
Abbiamo descritto, sinora, di luoghi apparecchiati dentro una stazione di servizio (Fuel), di una macelleria (Damini), di altri più tradizionalmente sedentari, quelli a Km.0 per intenderci (realtà che, a naso, si sta ridimensionando, passata l’euforia di un’ idea di base buona, ma difficile da tradurre in network “disciplinato”).
Adesso caliamo l’ancora ghiottona alle pendici dell’ Astico, pedemontana berica, ed entriamo in una vecchia stazione delle reali ferrovie vicentine, volute dall’ allora dinastia Marzotto.
Il GranPasso è l’ ultima, l’ennesima proposta di recupero piacevole di una archeologia industriale che vede nella ristorazione di qualità un buon viatico per ridare vita a luoghi che la storia ha dimenticato, ma che fanno parte di un capitolo significativo nella memoria di una comunità
Pietro Menegante è Chef in trincea da qualche lustro. Sue precedenti esperienze in rinomati locali del circondario
(p.es. all’ Isola, di Cogollio del Cengio).
Ora ha aperto la sua creatura, il GranPasso appunto, che merita una qualche attenzione, e non solo in quanto sede di archeogastrologia rivisitata.
Si entra attraverso la ex biglietteria e ci si può avviare nell’ ampia Sala dove non vi è più distinzione per classi viaggianti, ma arredamento sobrio, elegante, senza dare troppo nell’ occhio.
E’ suggestivo planarci la sera, scendendo dall’alto fra le luci di questa stazione non più di passo, ma di piacevole seduta. Di fronte vi guarda imponente, a guardia del vostro relax, come aquila in una notte di luna piena, la cima imbiancata del Monte Cengio.
Di giorno ci potete arrivare anche in bicicletta, con scampagnata di famiglia, se siete dei dintorni, in quanto la vecchia massicciata binaria è diventata una piacevole pista per escursioni da fuori porta.
Le prime valli trentine sono lì, a quattro pedalate abbastanza comode.
La Carta è attenta al territorio, con divagazioni che abbinano il cortile di casa con la modernità acquisita dallo spirito del tempo. Anche in Cantina l’attenzione principale è per le etichette vicentine prima, venete poi, senza disdegnare qualcos’ altro delle regioni vicine.
Dalla Cucina parte il fischio d’ inizio e si possono cominciare a far marciare i cavalli vapore della vostra panza con un’ Insalatina niente male: Radicchio di campo, guanciale, uova di quaglia.
La classica insalata della nonna rivisitata con onor di quaglia e una spruzzata birba di aceto di more.
Si resta nell’antan con una confortevole Poenta e renga (tradotto: aringa affumicata), tradizione diffusa, specie nella settimana santa, quando era consigliato andar di magro (anche se, di magro, si andava tutto l’anno per la maggior parte dei residenti). Buona, “burrosa” q.b… a chilometro zero di tradizione coccola & piacevole.
Ci si alza di nobiltà con una creatura della bassa, il Flan di Broccolo Fiolaro in fonduta di Asiago. Interessante, anche se servito a temperatura un po’ troppo … da sala macchine.
Stessa dislessia termica su di un pur piacevole Sgombro al pepe, purea di cavolfiore, olio allo zenzero. Semplice, pulito, servito su un cestino fatto dal purè stesso che rende il tutto filologico, seppur aggiornato ai tempi di un impiatto moderno e non più di sussistenza.
Molto interessanti, invece, e con spunti originali, gli Gnocchi di ricotta alpina su Veronica d’acqua (codesta è un’ erba fluviale), laddove si sa dosare con mano felice l’ inevitabile inserimento di parmesan, giusto quel tanto per dare consistenza ad una “poina” (ovvero ricotta) che, nell’ immaginifico della tradizione veneta, veniva abbinata alla modesta capacità delle mani di scarsa possenza dei lavoranti, le cosiddette “man de poina”.
Sugli abbinamenti enopotabili si viaggia regionale, anzi berico. Da segnalare una interessante Garganega di cotale Colle di Bugano (zona Longare); un po’ meno una Malvasia bottled by Zonta (Campo dei Fiori 2007). Molto interessante, invece, un cugino trentino, tale Maso Michei che, nel Dna, è only Pinot Noir, servito più avanti.
Da conoscere, per cultura folklora e locale, i Subioti con sugo della Fratellanza. In sostanza un ircocervo tra un maccherone e un maxibigolo (ovvero spaghettone). Subioti detti così proprio perché, attraverso il forame interno, si può risucchiare il sugo, detto della fratellanza in quanto frutto di mescolanza tra carni bianche e aromi, ovvero orto e cortile.
Questi Subioti sono parto di piccola manifattura locale anche se, invero, non sono memorabili.
La vostra locomotiva gastrica ingrana la quinta piena, invece, con gli ottimi Ravioli di rosole con salsiccia.
Buono tutto, l’ involucro di ovo e farina, la farcia, il toupet suino di contorno.
Sposano appieno la linea del locale: ancoraggio stretto alla tradizione, ma con la modernità messa lievemente sulle ventitrè. Tanto adesso si va a tavola per divertirsi, mica per sfamarsi.
Si può proseguire con una proposta orientata prevalentemente sulle carni anche se, comunque, ivi si possono trovare anche i pescati del vicino Astico: dal Salmerino, alle Trote, ai Soasi (sorta di pesci un po’ stupidotti, in voga nel vicentino e nell’alta padovana, che si fanno regolarmente pizzicare dal ragazzino, pescante senza lenza, che li scova abbioccati sotto i sassi dei torrenti e dei fiumi).
Noi, nell’ affrontare una pregevole nove-verticale-9 di Amarone Dal Forno, ci siamo visti servita una signorile Suprema di pollastra con musetto (cotechino) e pissacan (trattarsi non di cane prostatico - ovviamente bastardo - ma di nobile Tarassaco).
Molto interessante il Fegato di vitello “alla barcarola”.
Suggerito tra le proposte fuori carta, esitavamo.
Pensavano si trattasse di volgare imitazione (camuffata) di tradizionale fegato alla gondoliera, cioè veneziana.
Invece qua, tra le valli di Marzottolandia, si usava dargli una lieve impanatura prima di trattarlo come da copione. In questo erano particolarmente provetti nella vicina frazione di Barcarola, appunto.
Il finale è in giusta salita con un Carrè scalzato di agnello all’ aroma di caffè e ginepro. Ci viene narrato che lo scalzo è una preparazione di antica sapienza, mentre invece è evidente l’inserzione di modernità derivante dall’ uso dell’arabica di contorno. Pietanza di per sé buona e interessante, anche se, nel nostro gusto, il pur apprezzato sentore ovino era un po’ tanto nature. Magari due minuti di cottura in più ….
Sui Dessert vi è una certa etereogenicità: si va dal salutistico, alla nonna, al pasticciariamente corretto.
Spiegasi così il Semifreddo di agrumi, un po’ deboluccio, per nosotros; certamente più intrigante, invece, pur nella sua rustica semplicità, il Macafame, una specie di torta di mele e uvetta, …macafame, spezza fame, appunto, tanto che Luigi Meneghello, uno dei massimi cantori di questa terra, l’ha definita “piuttosto che una vera torta, una parodia di una torta”. Podio glicemico al Millefoglie, con la nocciola. Buono, con giusto incrocio di gusti e consistenze, senza essere tediosamente stucchevole. Si levano in alto i calici con il conturbante Torcolato del vignaiol.norcino Firmino Miotti, c’est dommage.
Il GranPasso può essere una piacevole meta di sosta a tutta stagione.
Ogni risorsa del territorio viene valorizzata al meglio.
Piero Menegante non ha certo fatto il passo più lungo della gamba e non pecca nemmeno di presunzione, marciando con il passo giusto attraverso una ristorazione che sa coniugare con equilibrio tradizione e attualità; tecniche consolidate con qualche allungo modernista. Ci si sente a proprio agio sia che si arrivi con la ganza vestita da gran soirè, sia che si giunga, pure sudati, con carovana pargolante al seguito.
Molto attento (e complice al punto giusto) il servizio in Sala.
GRANPASSO
Via Velo, 68
Velo d’Astico (VI)
Tel. 0445 – 714349
Chiude il Lunedì e Martedì.
Calcolate 35-50€
www.granpasso.it
info@granpasso.it
Categoria: Sararlo Graffiti
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