L' inossidabile Mucca Pazza è (anche) un Ristoratore, molto bravo, tra l'altro, eccone alcune note minestraie ...
Premessa (necessaria, forse)
Se qualcuno ha lo stomaco barocco per addentrarsi nelle note a seguire, faccia come il sottoscritto.
Ignori completamente Link, rimandi, leggende metropolitane, nick da lottomatica.
Noi ci siamo seduti per divertirci e abbiamo visto questo
Ce ne fossero di questi posti.
Uno si inerpica verso il Passo della Futa, a Rastignano di Pianoro, nell’illusione di trovarvi Cucina Molecolare ?
Design di Renzo Piano o Ettore Sottsass ? Veline e Attapirati da sequel TV ?
Niente di tutto questo, vi troverà un’Osteria, tuttosommato normale, ma progettata e condotta con lo spirito di una moderna attualità, con l’occhio e la mente affettuosamente legati al territorio, alla sua storia, ai suoi prodotti.
Era un Minestraio e, di piatto in piatto, è cresciuto, si è irrobustito ed è diventato Osteria.
All’Osteria n.7 si mangia bene, bene inteso nel senso moderno del termine, ovvero con rispetto per la tradizione (e a Bologna ssembra facile, come recitava una famosa pubblicità); con rispetto per i vostri trigliceridi, ma, soprattutto, ed è per questo che il locale ci piace, perchè è un esempio da tenere a mente per gli Osti del terzo millennio.
Di piatti parleremo più avanti, c’è tempo.
Piero Pompili è un oriundo, essendo marchigiano genere natu, tuttavia, a dispetto della giovane età, è un attento cultore di storia e tradizioni della terra che lo ha adottato e che lui, per conseguenza, ha cominciato ad amare, ma di amore e curiosità attive, non passive, come capita oramai molto spesso a chi dà per scontato tutto quello che si trova a vedere e toccare, circondato da una quotidianità pigra, per non dire apatica.
In fondo, per mettere la stampacchia di piatti di tradizione, basta leggiucchiare qualche libro, scopiazzare un po’ qua un po’ là, strizzando l’occhio di volta in volta magari con il trompe l’oeuil di rucola o sushi, che fanno trendy global, e il gioco alla Mago Zurlì sarebbe fatto.
No, qui si va di fondamentali, e per ogni piatto, tradizione, si è scavato in profondità.
Ecco allora che la proposta del Menù è raccontata, capitolo per capitolo, con una adeguata introduzione che porta alle preattivazione gustativa di quello che vi sta per arrivare o che potreste scegliere.
Così è per gli “Insaccati e Salumi”, per le “Minestre e vivande equivalenti”, sino ai “Secondi Piatti” e “Dolci”
Andiamo un po’ per disordine sparso.
L’inizio, come dicevamo, è dedicato al divin porcello, declinato alla Petroniana (Mortadella e Salame Rosa, peccato quest’ultimo, quella sera, fosse in …ricarica di dispensa), di Mora Romagnola e Cinta Senese.
Noi ovviamente ne abbiam fatto una Jam Session (Il Gran Piatto di Salumi) e abbiamo goduto assai, anche perché, spesso, per i diversi tagli vi è era descritta la filiera di origine, vuoi produttore, norcino, o storia relativa.
Ma quello che ci ha attizzato, nello specifico, è stata la compagnia a latere: Tigelle, Crescentine, Gnocco Fritto.
Non vorremmo apparire blasfemi verso altre realtà, anche perché la scena petroniana ed emiliana la conosciamo poco, ma finalmente abbiamo capito il perchè, presso gli autoctoni, questi ultimi prodotti siamo così amati.
Sul Capitolo Minestraio e dintorni è noto che la Star delle proposte rimangono i Passatelli Asciutti su Crema di Parmigiano con Pinoli e Uvetta sultanina.
Sono un pò come il Cappuccino di Seppie al nero per Alajmo o i Tortelli di Zucca per Santini, qua siamo all’inizio della Futa, ma nella vostra Mille Miglia ghiottona dovete metterveli nel palmares, senza dubbio.
Ai tempi del Minestraio le proposte erano dieci-10, adesso sono diventate 6 e, comunque, per i nostalgici è sempre possibile fare la Gran Degustazione, anche se noi l’abbiamo focalizzata, nel caso, su dei Ravioli in ripieno di Guancia di vitello, notevoli per la sfoglia, inusualmente leggeri per il resto, ma, sapendo che si trattava di carne fassona, la conclusione è conseguente.
La cosa bella è che, come Crescentine & C. vengono preparate al momento nel back stage dei fornelli, così è anche per le diverse componenti Minestre, tirate a mano, di mattarello o olio di gomito … chissà se il nostro Oste e Patron, con uso di web, si diletta, nelle pause, a fare … l’Azdoro, conoscendone la bizzarria goliarda, non sarebbe da stupirsene.
A Ciccia si va di lusso.
Andando in deroga al territorio si viaggia, ove vaccino, di Fassona Piemontese, ma al territorio comunque si ritorna perché il norcino è rigorosamente locale, anzi di Monzuno, e all’anagrafe recita quel Zivieri Massimo che ha tutti i numeri per diventare il Cazzamali di Reno e dintorni.
Abbiamo colto la palla al balzo e ci siamo cuccati le Polpette Fassone, di cui avevamo letto e di cui confermiamo la piacevolezza di un prodotto talmente semplice e familiare, che non sempre è scontato trovarne l’interpretazione adatta.
E ci siamo anche molto divertiti con Il Fritto, ossia Coscette di pollo nostrane: belle, muscolose, parevano i polpacci di Ringhio Gattuso, più che della Gallina Ernesta.
Oramai, nell’ uso comune, le carni lasciano senza passione l’osso pallido e abulico, qui invece siamo dovuti andare di ganascia a mano, e l’osso era bello rubro.
Impenitenti, Peccatori, Insaziabili, al cor non si comanda e della glicemia ne abbiamo solo sentito parlare (distrattamente).
Ecco allora i Montrucc, sorta di biscottini fatti con il Farro, con una loro spiegazione storica e geografica che ne ha reso ancora più divertente l’ ìnzuppare di zabaglione anche se, con du’ ova in più, forse era meglio, ma la ricostruzione storica non era bolognese, in questo caso, ma di Castiglione Pepoli, ove forse il braccino (anche in cucina) è lievemente più corto della media.
Cantina di respiro nazionale, ma molto attenta al territorio, e in particolare alle sue realtà microvinicole.
Niente da dire, quindi, con un piacevole Sangiovese che sapeva di Terra di Covignano.
E il discorso, volendo, potrebbe fermarsi qui, ma non lo avremmo nemmeno iniziato se il vero obiettivo di queste note non puntasse ad un'altra riflessione.
E cioè questa.
Si parla molto di territorio, tradizioni, ovvietà e verità in mix spesso casuale.
In verità, in verità vi dico che … qui all’Osteria n.7, la mission è ben definita e meritevole di segnalazione d’encomio.
L’Osteria, per come abbiamo colto noi la cosa, non è tanto un momento di refettorio, per palati e cuori nostalgici o trangugiatori di passo e tradizioni polverose o patinate; è il punto centrale di una filiera che, se da un lato si propone di conoscere e far conoscere dei prodotti, altrettanto si preoccupa di farlo con chi, materialmente, si occupa di questo. Ecco, allora, la citazione puntuale di Produttori, Artigiani, gente di piccoli numeri, ma grande passione, impegno e ricerca di qualità, che difficilmente, anche per limiti oggettivi, potrebbe trovare sfogo nella grande distribuzione.
L’Oste, allora, permette loro una via sostenibile, che si completa facendoli conoscere ad un avventore che, a sua volta, ne può diventare acquirente per l’uso personale.
E il cerchio si chiude virtuoso, qui che siamo nella Valle del Savena e dintorni, ma l’augurio è che molte siano le realtà sparse per Enotria ove ci si curi con la stessa appassionata e puntuale leggerezza nel cercare, sostenere, diffondere quanto di meglio il territorio possa offrire.
Infine una nota di merito, come dicevamo, alla Carta, che non è nè didascalica, e nemmeno supponente, ma narrante.
E’ come se l’Oste vi volesse dire: Cari Signori, se posso aiutarvi a scegliere e capire, sono qua io a raccontarvi delle storie; altrimenti leggete con calma, io arriverò dopo a raccogliere la vostra comanda.
E nella Filosofia della Cucina, curata perfettamente da Arnaldo Laghi, si leggono molti concetti, spesso con richiami e riferimenti ai maggiori Chef d’Italia, citati tutti (o quasi), come a dire che loro sono quelli bravi, gli inarrivabili, qui siamo solo Osti al vostro servizio, con una cucina semplice che non è nè futurista o molecolare o destrutturata ma, anzi, e citiamo, perchè ci è piaciuta a conclusione di un progetto pensato con attenzione “…noi facciamo qualcosa di completamente diverso dal concetto di ‘scomposizione’ così diffuso oggi … la Cucina della tradizione regionale ricorda i dipinti del Rinascimento, con i colori sfumati l’uno nell’altro e i giochi di ombre e di luce, piuttosto che le pennellate distinte di colori puri …”
Chapeau. Sararlo.
Osteria n.7
Via A.Costa,7
Rastignano di Pianoro (BO)
Tel. 051 – 742017
Chiude il Lunedì
Costo medio 40€ (e il coperto non si paga)
Categoria: Sararlo Graffiti
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