E' un locale del mito, senza tempo. Gemello, per certi versi e le atmosfere che sa evocare, dell' altrettanto mitica Hosteria Giusti, a Modena. Testo e photo vennero anche opsitati su Il Gastronomo Riluttante.
A volte può anche risultare difficile scegliere l’ attacco per parlarne, tanti sono i possibili spunti per farlo.
Per chi scrive è un luogo del Mito, mito inteso nel senso più ampio del termine.
E’ vero, ci si mangia, anche, e con questo “anche” finale e sospeso a mezzaria, proviamo a descrivere del perchè, nel nostro immaginario personale, l’Harry’s Bar ha un suo posto molto particolare.
E’ uno di quei locali senza tempo, di cui abbiamo già accennato in queste note corsare, per cui, coccolati tra le sue pareti con vista sul Canal Grande, si assume quella certa distaccata visione del mondo che fuori può declinare di epoche passate, attuali o futuribili; non ve ne importerebbe di meno.
E’ il mondo che passa, si siede e ritorna in Calle Vallaresso che, senza tempo, appunto, guarda, sorride cortese e prosegue, immutabile, il suo cammino che va oltre le mode perché lo stile, quel certo stile, si può trovare solo qui o in pochi altri angoli di terre conosciute.
Ci si può sedere qui come niubbi qualsiasi, come si farebbe da qualsiasi altra parte: guardare il menù, scegliere, mangiare, bere anche e poi uscire. Sarebbe come il Candide di Voltaire, ma non è possibile, anzi, consigliabile.
Prima di entrare qui bisogna avere il desiderio di respirare la presenza che aleggia ancora di un Hemingway, sapere del perché l’Harry’s si chiama così dal 1931, avere un minimo di consapevolezza che qui sono nati il Bellini e tante altre creature solide che quando ve le trovate al piatto le guardate e le assimilate anche per il loro valore metafisico.
Qualcuno potrebbe pensare che l’Harry’s Bar è Arrigo Cipriani; vero, in parte, sottolineato il fatto che siamo davanti a quello che è considerato il miglior ambasciatore (e pi.erre) della ristorazione italiana nel mondo, ma, come lo stesso personaggio ammette, quella che rimane, che si perpetua, è una filosofia, uno stile imposto dal padre, il leggendario Giuseppe Cipriani che, al suo primo figlio, Arrigo appunto, affibbiò la versione italiana del nome Harry, quasi a voler tramandare nel tempo il legame inossidabile tra la famiglia Cipriani e la loro creatura.
Oltrepassata la porta d’ingresso vi troverete immersi in quell’ allegro girone dantesco che si respira al piano terra.
La figura del maitre Claudio pare uscita da un film in b/n di Luchino Visconti, custode in terra, anzi, a piano terra, dei tesori di famiglia.
Ma è meglio salire al piano nobile e sedersi a gustare, per qualche ora, un’atmosfera che vi renderà, per il resto della vita, portatori sani della Harry’s Way of Life.
I tavoli sono piccoli, le sedie anche, e vi trovate conferma della luciferina definizione data a questo posto da Camillo Langone ove si afferma che qui vi è concentrata, per metro quadro, la più efficiente resa di valore aggiunto per cliente e stoviglie abbinate.
I Camerieri si destreggiano, in una maniera ammirevole, in questo toboga di tavoli e clientela internazionale, per cui ci si domanda se, prima di venire assunti, vengano mandati a fare qualche corso di perfezionamento da Moira Orfei o Darix Togni.
Sfogliare la Carta del Menù spiega molte cose; si capisce che vi è una forte prevalenza yankee dalla presenza di piatti che ci starebbero forse più in un drugstore, seppur di lusso, che in un ristorante che è stato pure stellato.
Viva il Dollaro e Sua Maestà Sterlina, ma noi decliniamo autoctono e autoctono mangiamo.
Ecco allora che vi si profila un Piccolo Carpaccio di Chianina alla Cipriani. La leggenda narra che questo inossidabile piatto di mezza età ebbe il suo battesimo in coincidenza con la mostra dell’omonimo pittore. Sempre presente al tavolo della Contessa Nani Mocenigo che lo esigeva per presunte necessità dietetiche, il piatto sì è imposto nella memoria collettiva certamente molto più dell’omonimo artista, tanto da divenire anche simbolo di una certa tecnica di preparazione culinaria.
Ne volete una descrizione orgasmolettica? Non serve, oramai adusi a Carpacciosità di varia fatta, resta solo da dire che qui si tratta di una versione base, come fosse l’Aurelia B24 di Gassman e del Sorpasso: perfetto, anche senza essere di Pininfarina.
E lo stesso discorso vale per la Pasta e Fagioli.
C’è chi se l’è reinventata in vari modi; qui la cremosità è uguale a quella scritta nel vostro dna da cucina della nonna e della memoria. La pasta è discreta, pur se presente; ci potete giocare a vostro piacimento nell’addobbarla d’olio o pepe o parmesan, perché una della caratteristiche della casa è di dare ampio spazio all’avventore nel personalizzarsi il piatto come più gli aggrada.
Altro Classico evergreen, in tutti i sensi, il Risotto alla Cipriani, disponibile, eventualmente, anche nella versione Primavera. Trattasi, comunque, di verdure di stagione speziate a curry; se lo volete in versione Abarth, pardon Cipriani, si aggiungono i pezzetti di pollo.
Scontato dire che la mantecatura è perfetta, il piatto all’onda quanto basta, il divertimento assicurato anche dal fatto che, a lato, il Risotto vi arriva su ampio vassoio che, inevitabilmente, viene spazzolato a zero alla puntuale profferta complice del garçon di dare il colpo finale a tanta bontà.
La Sala è un autentico melting pot che, da solo, potrebbe valere lo spettacolo.
Ai suoi tavoli, in innumeri visite, abbiamo visto veramente passar di tutto (infradito comprese).
Accademici di fama clara et internazionale; padroni del vapore e qualche Rolls; evidenti farfalloni di passo celebrati per via catodica. Anzi, se volete bearvi di vedere come maneggia le posate Clint Eastwood, venite in epoca di festival; vi possiamo confermare che Catherine Deneuve è veramente una gran bella donna, a dispetto di qualsiasi anagrafe.
L’ultima volta, la vista in cinemascope di quarti di nobiltà integrale e vippaiola ci hanno rassicurato che, in fondo, l’uomo, che sia Barone o semplice Gourmet, sempre uomo è, e forse anche con qualche distinguo a favore di noi del quarto stato.
Aniway, let’s go su di un piatto straordinario: Le Tagliarelle con le Sarde in saor.
Le tagliarelle le avevamo già trovate a spizzichi e bocconi a navigare in versione sub con i fagioli; qui sono riemerse, maestose, con l’accoppiata delle sarde cipollate & sultanine. Un grande piatto, di grande tradizione, di una esecuzione semplicemente impeccabile.
E dato che qui la cebolla è trattata con mano sapiente, dandovi la certezza di non olezzare poscia se andate in udienza privata con l’altra metà del cielo, proseguite alla grande con il Fegato alla veneziana.
Ci raccontava Paolo Granzotto che, quando scortava per calli e campielli l’Indro nazionale, la tappa in Calle Vallaresso era d’obbligo e il piatto arrivava immantinente senza bisogno nemmeno di ordinarlo.
Quando si parla di servizio ad personam.
Il Prosecco della Casa può accompagnarvi a tutto pasto, come uno champagne qualsiasi; chissà se perché, fin da quando inventò il Bellini, il fu Giuseppe ebbe a sostenere che un Prosecco impeccabile non avrebbe sfigurato di fronte ad un Blasonato Dom Perignon. Magari non sarà vero, ma qui, à la table, non vi ponete neanche l’oziosa questione.
Approfittando della stagione ad hoc ci siamo fatti pure servire un piattino di “Castraure” , quei mitici carciofi novelli, e viola, della vicina Sant’Erasmo, loro unica patria nel mondo.
Straordinari, magari abbinati a delle aragostine, vi sparano in Paradiso; è che qui ci eravamo già sparati che basta in precedenza, e non volevamo rinunciare al dessert.
A questo punto, effettivamente, il tributo alle golosità internazionali è alto, anzi, diciamo esuberante per il trionfo di panne & creme che si vedono ognidove.
Se ci si vuol baloccare con la Torta allo Zabaione, si è sicuri di non sbagliare mai.
Alla staffa, forse presi da ricordi letterari, da quell’ humus che si respira dalle pareti, sentirete come irrinunciabile il tributo a quel Martini che ha contribuito alla leggenda dell’Ernst di “Di là dal fiume e tra gli alberi”.
Bevetevelo con rispetto, lo merita tutto, così come spesso capita che il bis è inevitabile.
Che dire. Non ci si alzerebbe mai. Ci si guarda intorno, lo spirito vola, più o meno sobrio, e immagina quelle sensazioni che rendono bello il gastromondo in quanto volano per volare altrove, e qui, all’ Harry’s, queste sensazioni vengono implementate come pochi posti al mondo, sarà forse perchè, come ci raccontava il maitre “sa, qui si respira una spritualità profonda, e lo notiamo soprattutto con quei clienti che vi arrivano la prima volta”.
Vero, sottoscrivo e ritorno.
All’ uscita, se non lo avevate già fatto prima, portatevi a casa il libro autobiografia dell’Arrigo “La leggenda dell’ Harry’s Bar”. Pagine divertenti e piacevoli che corroborano ancor di più i vostri passi per calli e campielli, tanto, alla fine, si ritorna sempre, prima o poi, in Calle Vallaresso.
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HARRY’S BAR
San Marco 1323, Calle Vallaresso
Venezia
Tel 041.528 5777
www.cipriani.com
E’ sempre aperto e non chiude per ferie
Tra i 120 e i 150 €
Categoria: Sararlo Graffiti
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